beato chi legge,
e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia.
Che ne piangano le loro famiglie; io ne parlo da letterato.
Con queste parole Pier Paolo Pasolini canta il lamento funebre delle vittime della strage di Piazza Fontana (12 dicembre 1969), nel poemetto Patmos.
L’autore si definisce un letterato che non può simpatizzare (letteralmente "patire insieme", "provare emozioni con..." ) con le famiglie delle vittime. Loro piangano da sole: sembra dire il poeta corsaro.
Si tratta di sarcasmo, naturalmente, aspro e feroce sarcasmo, lo stesso che attraversa tutto il poemetto, quasi a ricalcare la ferocia con cui ai 17 morti è stata negata la vita.
Tuttavia, non può essere un letterato manierista e disinteressato chi si sporca le mani con la cronaca del proprio tempo, chi scrive una denuncia civile, un articolo di giornale tra i più crudelmente realistici mai scritti, un elenco di nomi, i nomi delle morti di Stato.
L’operazione che lo scrittore compie è letteraria, certo, ma prima di tutto civile e politica. Essa deriva da un sentimento di rabbia e tristezza, nato dalla coscienza della Verità con cui convive quotidianamente: cioè che le bombe degli anni ’70 non le hanno messe, davvero, i fascisti ma lo Stato italiano.
Lo stesso sentimento attraversa Petrolio, cioè il romanzo delle stragi: titolo con cui compare in Scritti corsari un articolo: Che cos’è questo golpe?, uscito sul ‹‹Corriere della Sera›› il 14 novembre 1974, in cui l’autore fa riferimento alla gestazione di Petrolio parlando di un ‹‹progetto di romanzo››. L’articolo inizia con le celebri parole: ‹‹Io so, io so i nomi dei responsabili››, riferendosi ai responsabili delle stragi, cioè secondo la sua ricostruzione, i potenti della Democrazia Cristiana.
Pasolini nell’articolo il romanzo delle stragi dice di non avere le prove e gli indizi che ne accertino le colpe, anche per difendersi da possibili attacchi ed accuse.
In realtà, questi sono presenti seppure in forma criptata in Petrolio, nel romanzo delle stragi effettivo, come ha confermato Gianni D’Elia nell’intervista che mi ha rilasciato.
Il lavoro di decriptare il testo, richiesto più volte da Pasolini al lettore (secondo l’autore l’oggetto si ricreerà nella testa del lettore, che prega di accettare queste confidenze) coinvolge principalmente due aspetti: quello storico-politico-economico e quello filologico.
Il primo ruota intorno alle due pagine intitolate Appunti 20-30 in cui Pasolini schematizza due eventi storici centrali in Petrolio: la strategia della tensione e la parabola politico-economica di Enrico Mattei ( Presidente dell’Eni dal 53 al 62) e Eugenio Cefis (Presidente dell’Eni dal 67 al 71).
Questi eventi sono riassunti in due note progettuali, nei cosiddetti ‹‹blocchi politici›› che individuano le due fasi della strategia stragista: la prima anticomunista e la seconda antifascista.
L’analisi degli schemi lasciatici da Pasolini ha permesso di collegare due eventi, storicamente considerati separati, e di far luce su un personaggio che ha cercato sempre di restare nell’ombra: Eugenio Cefis. Nel primo blocco politico Pasolini scrive che Aldo Troya alias Eugenio Cefis ‹‹sta per essere fatto presidente dell’Eni e ciò implica la soppressione del suo predecessore››.
Nella realtà storica nel ‘67 il predecessore di Cefis è Marcello Boldrini, ma qui invece Pasolini lo fa coincidere con Enrico Mattei, scrivendo tra parentesi: ‹‹caso mattei, cronologicamente spostato in avanti››.
Ciò significa che l’omicidio Mattei avviene nel ‘62 e viene spostato in avanti di 5 anni. Perchè questo salto cronologico, dunque? Perchè l’autore vuole collegare l’omicidio Mattei con l’insediamento alla presidenza dell’Eni di Eugenio Cefis.
Il primo blocco politico finisce nel ‘68 con la contestazione studentesca, quando per evitare uno spostamento dell’asse politico a sinistra, Pasolini dice che la cricca politica ha bisogno di anticomunismo. Eppure Pasolini aggiunge subito dopo nel romanzo troviamo l’espressione bombe attribuite ai fascisti. Si tratta di un errore di “battitura”( Cfr. Gianni D’Elia, Il Petrolio delle stragi), infatti le bombe vengono messe dai fascisti, sì, con la copertura dei servizi, ma attribuite agli anarchici non ai fascisti.
Nel secondo blocco politico, Pasolini scrive che Troya alias Cefis sta per essere fatto presidente della Montedison (lo sarà dal 71 al 77), per cui ha bisogno con la cricca di politici di una verginità antifascista. Così scrive Pasolini nel romanzo, ma di nuovo si tratta di un errore che corregge quasi un mese dopo il 14 novembre sul ‹‹Corriere della Sera›› e poi in un articolo sull’ ‹‹L’Europeo›› a dicembre, dove parla della necessità da parte dei potenti responsabili delle stragi di ricostruirsi una verginità antifascista.
Nella realtà storica in quel periodo avviene lo sganciamento dello Stato dalla manovalanza fascista utilizzata nella prima fase, che per ritorsione continua a mettere le bombe.
Riguardo il secondo aspetto, quello filologico particolarmente interessante risulta il confronto tra i personaggi letterari e le loro identità storiche.
Sappiamo che il personaggio storico di Enrico Mattei, nel romanzo corrisponde a Enrico/Ernesto Bonocore e che Eugenio Cefis è Aldo Troya.
Sul protagonista Carlo Valletti, il Medio (‹‹io sono il Medio, parvero dire Rumor e i suoi colleghi››, in Patmos), sembra plausibile l’ipotesi che corrisponda al politico socialista Francesco Forte.
Francesco Forte è stato membro della Giunta esecutiva e Vice Presidente dell’Eni dal 66 al 76, successivamente Ministro delle Finanze, Ministro delle Politiche comunitarie e per due legislature (‘87, ‘94) Senatore della Repubblica. Tre sono gli indizi che avvalorano la mia ipotesi.
Il primo si trova nell’Appunto 97 in cui viene copiata integralmente un’inchiesta di Giuseppe Catalano, pubblicata dall’ ‹‹L’Espresso›› del 4 agosto 1974 dal titolo: Cefis e il Sid. Il Mattinale, nella quale vengono elencate alcune significative informative che il Sid realizzava quotidianamente su commissione di Eugenio Cefis per il controllo dei suoi nemici.
Dell’inchiesta nel romanzo non viene mutato nulla, ad eccezione di un’informativa riguardante Francesco Forte, in cui l’espressione ‹‹il prof. Forte›› viene cambiata in: ‹‹prof. Valletti -ossia il nostro eroe-››.
Il secondo indizio si trova nello stesso articolo dell’‹‹L’Espresso››, in cui in un'altra informativa si parla di un ‹‹uomo d’affari italo-britannico›› chiamato Charles Forte.
Possiamo ipotizzare, non tanto che Carlo si identifichi con Charles Forte (personaggio non molto influente nella politica dell’Eni), quanto piuttosto che Pasolini giochi sul nome Charles per la creazione del nome del “nostro eroe”, cioè Carlo.
Il terzo e ultimo indizio si colloca immediatamente all’inizio del romanzo, nella prima pagina, in alto a destra: ‹‹FORTE (8 settembre 1973)››. [1]
Ora per la comprensione di questo dato bisogna partire dal 7 Settembre 1973, cioè quando esce sul ‹‹Corriere della Sera›› un articolo: Forte attacca Girotti per i segreti dell’Eni di Massimo Riva.
Nell’articolo si parla delle annunciate dimissioni di Francesco Forte dalla vicepresidenza dell’Eni nel caso in cui l’Eni avesse acquistato il quotidiano ‹‹Il Tempo›› (da lui ritenuto: giornale dagli “articoli sediziosi e fascisti” [2]). ‹‹Il Tempo›› risponde il giorno dopo, cioè l’8 Settembre 1973 nell’articolo intitolato: Le Forti lamentazioni di Forte definendo forte un ‹‹esibizionista›› e uno ‹‹squinternato››, un personaggio profondamente tormentato, perché scisso dal problema di ‹‹essere mantenuto dallo Stato, per fare un’opposizione di Sinistra a coloro che governano lo Stato››.
L’articolo de ‹‹Il Tempo›› sembra suggerire a Pasolini una delle caratteristiche principali di Carlo Valletti: la natura del Doppio e della profonda scissione che lo attraversa.
Lo stesso giorno, l’8 settembre 1973 esce anche un altro articolo che riprende il problema delle dimissioni di Forte: articolo del ‹‹The Guardian››, dal titolo: Oil and right-wing paper ‘do not mix’, scritto dal corrispondente estero George Armstrong.
Il collegamento tra l’articolo del ‹‹The Guardian›› e Petrolio avviene attraverso l’Appunto 41, in cui pasolini dice che il nostro eroe scrive sul ‹‹The Guardian››.
Aggiunge, inoltre, che il “nostro eroe” è ‹‹anglosassone››, facendo un sottile richiamo alla figura del britannico Charles Forte.
Lo scrittore nel romanzo più volte dice che sta ‹‹giocando››, ‹‹sta mischiando le carte›› e avverte che ‹‹il lettore potrà muoversi con più sicurezza fra trabocchetti narrativi ‘che si spiegano a vicenda’››. In perfetta sintonia con la poetica dell’illegibilità e indecifrabilità, Pasolini vuole che il lettore compia un operazione rigorosamente filologica, lavorando attivamente sugli indizi.
Solo attraverso questo attento lavoro ognuno di noi potrà leggere in Petrolio la sua storia, o meglio, la nostra storia civile e politica.
Petrolio è la storia d’Italia, della sua mediocrità, dei suoi intrallazzi, della sua ipocrisia, del suo assassino segreto di Stato che ha negato e nega tutt’ora verità e giustizia alle famiglie delle vittime.
Eugenio Cefis riceveva a casa ogni mattina inchieste dal Sid sui suoi nemici: la Verità, insomma, per alcuni è conoscibile, solo per alcuni privilegiati non certo per il cittadino ucciso in una delle tante bombe.
L’Italia che ammazza e non chiede giustizia altrimenti dovrebbe giustiziare se stessa, è anche l’Italia che si è abituata al nuovo fascismo ‹‹americanamente pragmatico›› [3], ne ha acquistato ogni nuovo prodotto materiale, ogni comfort e non chiede altro che di poterne acquistare ancora.
L’Italia che ha sostituito Jesus con i Jeans (come dice Pasolini in un saggio sulla pubblicità che gioca sulla rispondenza tra i due nomi; da un articolo del ‹‹Corriere della sera››, Il folle slogan dei jeans Jesus del 17 maggio 1973 [4]) non può che volere alla guida del proprio paese un produttore, un industriale, uno che gli assicuri il “nuovo pane quotidiano”, il distributore di beni superflui.
[…] L’età del pane -era quella- dei consumatori di beni estremamente necessari. Ed era questo, forse, che rendeva estremamente necessaria la loro povera e precaria vita. Mentre è chiaro che i beni superflui rendono superflua la vita […] [5]
Poiché i beni superflui rendono superflua la vita, è chiaro che la massa a nulla ambisce che a farsi rappresentare da una persona del tutto superflua, pragmatica, consumistica e tremendamente mediocre.
Non è troppo difficile, se si pensa all’Italia di oggi, capire che Pasolini aveva individuato perfettamente la strada che il paese stava prendendo.
Non è per nulla difficile, individuare il nuovo Carlo del XXI secolo: un personaggio inquieto, nevrotico, mediocre, assolutamente insignificante, ma bene inserito nei posti di potere, perché è li che può esercitare la sua forza non in virtù di un potere interiore e spirituale, ma tutto esteriore e materiale. Un potere creato per coniare soggiogatori e diventare contemporaneamente soggiogati a qualcun altro. Chiunque entri nel Girone del Potere non può che diventare contemporaneamente padrone e servo, non può che rispondere alla logica che lo vuole spietato con i più deboli e sottomesso con i più forti.
Il personaggio che sto delineando, dunque, eredita perfettamente la scissione di Carlo: egli è contemporaneamente un lupo e un agnello, non per scelta ma per adattamento passivo alla regole del gioco del potere.
Se Pasolini avesse scritto un romanzo con tutte le caratteristiche che un testo simile richiede avrebbe sicuramente posto al centro del testo un personaggio con cui il lettore potesse dialogare. Se non un personaggio ottocentesco, i grandi eroi alla Balzac, avrebbe potuto inserire un personaggio comunque dotato di un certo spessore e profondità morali; invece preferisce collocare nel testo di Petrolio un qualsiasi esemplare della nuova specie umana, nata sotto il segno della tecnologia e dell’idea dello sviluppo, nata per divorare prima il mondo con tutte le sue risorse (petrolio) e poi se stessa.
Carlo Valletti è un ingegnere, figura tecnica e considerata lodevole per la sola etichetta di potere economico che essa porta con sé.
Carlo lavora per un’azienda pubblica importante, trasferendo in essa i suoi obiettivi di guadagno e affermazione economica propri di ogni buon manager o uomo del XXI secolo, le cui aspirazioni coincidono con quelle lavorative.
Carlo come tutte le persone mediocri non si risparmia conoscenze “importanti”: non si scandalizza di avere amicizie e connivenze poco trasparenti. Frequenta tutto il frequentabile (politici, industriali, mafiosi e neo fascisti) con il solito sorriso prestampato che gli assicura presentabilità e disposizione al compromesso di ogni genere.
Non chiede elogi ma solo ricompense, non vuole la gloria eterna piuttosto gli basta un lauto riconoscimento in soldi: la sicurezza di poter vivere nella segretezza dei propri guadagni.
Pasolini più volte ribadisce il sentimento di profondo disprezzo e ribrezzo che gli suscita lo scrivere, il pensare, il vivere (anche se solo nelle parole e forse proprio per questo in termini ancora più drammatici) la personalità di Carlo.
Lo ribadisce anche nella lettera a Moravia che chiude l’opera: per lui sarebbe dolorosissimo riscrivere il testo, proprio perché ciò implicherebbe, di nuovo, un contatto giornaliero con un personaggio repellente.
Trentacinque anni dopo la sua morte, in una società molto simile a quella descritta dall’intellettuale corsaro (ma oramai giunta alle estreme conseguenze totalitarie), è perfettamente comprensibile il disgusto di Pier Paolo nei confronti di Carlo.
Sarebbe come scrivere un romanzo su un Bondi, un Cicchitto o un Gasparri o un qualsiasi altro “personaggio” della masnada che compone la cerchia del sultano e che ne imita come può i gesti, le movenze, le parole e i desideri.
Questi personaggi non sono più nulla: né quello che erano prima, né quello che sono diventati dopo lo scellerato patto con il diavolo che adorano come un dio.
Sono attraversati da una profonda scissione tra quello che sono diventati a contatto con il modello berlusconiano e quelli che sarebbero stati se avessero conservato la loro integrità morale. La scissione dell’uomo dell’epoca attuale è ancora più drammatica di quella che attraversava il borghese degli anni ’70, scisso tra adesione cosciente all’ideologia marxista e adesione fattuale all’ideologia consumistica: un tipo di frattura tra ideale e reale che probabilmente oggi non attraversa più neppure gli uomini della sinistra, integralmente inseriti nel ciclone del consumismo.
Come il poeta corsaro descrive i giovani in termini negativi forti, violenti e drammatici, proprio perchè solo chi li ama e li ha amati può odiarli in maniera così profonda e così sofferta; allo stesso modo è possibile provare un profondo disgusto per il modello berlusconiano e gli italiani che lo imitano come marionette impazzite.
Solo chi ama i propri concittadini soffre nel vederli trasformarsi e degenerare.
Soltanto chi ama, soffre nel vedere che le persone amate cambiano. Chi non ama non se ne accorge neppure.[…] E non si tratta poi neanche di un semplice cambiamento, seppur doloroso, in quanto degradante: ma si tratta, come ho detto, di un vero e proprio genocidio. [6]
Naturalmente io vivo non solo nell’Italia di cui sto parlando, ma nella stessa società che critico, ne mangio tutti i frutti insieme ai miei concittadini; per cui non posso e non potrei ritenermi innocente, malgrado lo sforzo di allontanarmi da questi nuovi modelli, anch’io li vivo e ne vivo il loro radicamento in me e fuori di me.
Ma devo ammettere che anche l’essersi accorti o l’aver drammatizzato non preserva affatto dall’adattamento o dall’accettazione. Dunque io mi sto adattando alla degradazione e sto accettando l’inaccettabile. Manovro per risistemare la mia vita. [7]
Sicuramente il lettore avrà da obiettarmi una banalità di fondo, avendo voluto non solo attualizzare questo testo, ma piegare il paragone ad una critica politica e, soprattutto, da molti letta come tendenziosa.
A queste probabili obiezioni rispondo con le parole di Pier Paolo Pasolini:
Forse qualche lettore troverà che dico delle cose banali. Ma chi è scandalizzato è sempre banale. E io, purtroppo, sono scandalizzato. Resta da vedere se, come tutti coloro che si scandalizzano (la banalità del loro linguaggio lo dimostra), ho torto, oppure se ci sono delle ragioni speciali che giustificano il mio scandalo. [8]
[1] Ibidem
[2] M. Riva, Forte attacca Girotti per i segreti dell’Eni, dal ‹‹Corriere della Sera›› del 7 Settembre 1973.
[3] P. P. Pasolini, Il vero fascismo e quindi il vero antifascismo, in Scritti Corsari, cit., p. 318.
[4] P. P. Pasolini, Analisi linguistica di uno slogan, in Scritti Corsari, cit., p. 279.
[5] P. P. Pasolini, Limitatezza della storia e immensità del mondo contadino, in Scritti Corsari, cit., p. 321.
[6] P. P. Pasolini, Petrolio, cit., p. 1628.
[7] P. P. Pasolini, Abiura dalla ‹‹Trilogia della vita››, in Lettere Luterane, cit., p. 603.
[8] P. P. Pasolini, L’ignoranza vaticana come paradigma dell’ignoranza della borghesia italiana, in Scritti Corsari, cit., p. 371.