sabato 11 giugno 2011

IL CANTO DELL'ACQUA / RITRATTI - IVANA MANNI / MARCO FULVI - SPAZIO NOVADEA/LIBRERIA PROSPERI, ASCOLI PICENO


Titolo: IL CANTO DELL'ACQUA / RITRATTI
Autore:
Ivana Manni
Artista:
Marco Fulvi
Luogo:
Libreria Prosperi-Spazio NovaDea
Largo Crivelli, 8 – 63100 Ascoli Piceno
Coordinamento e comunicazione:
Spazio NovaDea
Inaugurazione:
17 giugno ore 18.00
Periodo esposizione:
17 giugno – 2 luglio 2011
Orario mostra:
dal lunedì al sabato
9.00-13.00 16.00-20.00
Info:
0736.259888 – 329.1979667
libreriaprosperi@hotmail.it

Ancora un doppio evento venerdi 17 giugno 2011 alle ore 18.00, presso lo Spazio NovaDea della Libreria Prosperi di Ascoli Piceno: la scrittrice Ivana Manni presenterà il suo ultimo libro Il canto dell'acqua, edito dalla Marte editrice, mentre l'artista Marco Fulvi inaugurerà la personale Ritratti, visitabile fino al 2 luglio.

IL CANTO DELL'ACQUA di Ivana Manni
L'energia liberatoria, che rompe i diaframmi e i blocchi, è il canto dell'acqua: il flusso, strano e improvviso, che avvia il movimento: quello interiore, quello cosmico. […] L'esistenza, così liberata, diventa agevole: è l'Eden sognato, inutilmente idealizzato e in verità facilmente realizzabile, quando l'acqua vince sugli altri elementi e la musica rivela di essere la vera sostanza dell'universo in cui il sogno si identifica con la realtà, l'adulto con il bambino, il femminile con il maschile, il giorno con la notte. (dall'introduzione di Quirino Principe)

RITRATTI di Marco Fulvi
Marco Fulvi, scevro da barocchismi, congela su fondi cromatici di squisita vivezza personaggi privi di orpelli. Letteralmente messi a nudo, essi sono vestiti soltanto della loro mimica facciale. Ogni sguardo, ogni alzata di sopracciglio, ogni sorriso abbozzato o ruga d'espressione caratterizza fortemente la figura e la rende “unicum” nell'economia della composizione. (Lorena Narcisi)

Ivana Manni è architetto; vive e lavora ad Ascoli Piceno. Ha collaborato come scenografa per la pubblicità televisiva e per il cinema. Ha pubblicato: Corpo leggero, raccolta di poesie e disegni (Tracce) e il romanzo I dolci della fortuna (Sovera). È presente nelle antologie Melodie della terra di Plinio Perilli e La poesia delle Marche di Guido Garufi.

Marco Fulvi vive e lavora a Grottammare. Con la sua prima mostra, Rifacimenti, espone presso la Libreria Edison di Firenze, il palazzo dei Capitani di Ascoli Piceno e la Limonaia in Chianti. Segue la mostra/convegno Il Narcisismo presso la sala Kursal di Grottammare. Nel 2006 espone, nella mostra Banda 25, i ritratti della Banda Osiris, presso il palazzo della Regione di Mantova e presso la fondazione Bolaffi di Torino. Nel 2007 espone Polittico presso la Torre Bruciata di Teramo e, successivamente, presso la galleria Trastart di Roma e il gruppo Donatello di Firenze. Nel 2008 vince il premio Perla dell'Adriatico e partecipa alla mostra Arte a confronto nel palazzo Palffy di Bratislava.

giovedì 2 giugno 2011

CARMELO BENE, CONTRO IL CINEMA

[di Gianluca Pulsoni]


Minimum Fax ha ripubblicato da poco alcune delle più belle interviste di Carmelo Bene sul cinema in un volume dal titolo Carmelo Bene, contro il cinema, a cura di Emiliano Morreale (euro 15). L’iniziativa è importante per almeno due motivi: come gesto che recupera dall’oblio frammenti del pensiero straordinario di un genio, sempre troppo dimenticato e sempre troppo poco riconosciuto nella cultura nazionale per quello che è riuscito a rivelare e anticipare; come testimonianza importantissima che possa fungere, a suo modo, da solido contributo per rilanciare un discorso serio – quindi di ricerca – sul cinema stesso.

La selezione del materiale e la composizione dell’opera seguono un criterio cronologico, mostrando così alla lettura tanto le costanti dell’autore – negli esempi e nelle sue convinzioni tecnico-espressive – quanto le tracce del divenire di un pensiero critico, se non addirittura filosofico, sul cinema e in generale sui mondi legati all’immagine, così che con la progressiva lettura del volume si acquisisce facilmente la percezione di come sia cambiata nel tempo la lettura che Bene ha dato del mezzo. Oltre a ciò, un’altra qualità del libro che risalta all’occhio è quella di offrirci in modo organico parte di quella moltitudine di strumenti critici scoperti e utilizzati dal nostro nella sua direzione “contro”: difatti, se ci si pone più in profondità della dimensione polemica suggerita dal titolo e più in generale da alcune invarianti assunte nel tempo e nei media dalla postura beniana, si possono recuperare agilmente le principali basi costruttive del rapporto CB/cinema, componenti fondate su una idea di ricerca e su alcune linee-guida, che investirebbero tanto il linguaggio quanto il mondo del cinema stesso, soprattutto nella sua ricezione e interpretazione. Un esempio? Il concetto di “ambiguità scientifica”, qualcosa forse di non totalmente inedito nel suo vocabolario ma che egli riesce a spiegare icasticamente in una conversazione con A. Aprà e G. Menon del 1970, indicandolo come l’unico modo e metodo con cui l’esercizio critico può paradossalmente riuscire a dialogare con l’opera d’arte.

Carmelo Bene, contro il cinema rappresenterebbe allora un libro “teorico”, tale da fornire a chi lo legga chiavi e mezzi per comprendere non solo parte dell’opera dello stesso Bene ma anche il cinema di oggi, nonché studiare vie possibili per quello di domani e, con altre pubblicazioni in merito, come la conversazione sul calcio con E. Ghezzi, Discorso su due piedi (il calcio) e i passaggi specifici dedicati nella “Vita”, si direbbe che possa addirittura formare una ideale bibliografia del suo pensiero sull’argomento specifico, tanto da rendere a questo auspicabile e desiderabile vedere tale lista ancora più ricca, integrata magari da una pubblicazione “radicale” e che sembrerebbe oggi dimenticata: L’orecchio mancante. Speriamo che nel futuro possa essere possibile.

NEL DEMONE DEL FEMMINILE

Su Virus71 di C. Daino
[di Gianluca Pulsoni]

‹‹ Non sono in forma, non sono piena/ non sono più ti dico che ho smesso/ da tempo ti ho detto che ho smesso/ l’essere dove il corpo si trova/ ho smesso di abitare le mie ossa ››. Come una confessione privata e allo stesso tempo una sottile dichiarazione di poetica – ma in questo caso la poesia è davvero tutto – questi cinque fulminanti versi introducono al meglio, a nostro avviso, l’incontro che un lettore può fare con Chiara Daino e il suo libro Virus71 (Aìsara, Cagliari 2010, pp. 126, euro 10).

L’autrice in questione è una artista polimorfa – www.chiaradaino.it è il suo riferimento in rete dove trovare tutte le informazioni – capace di lavorare nella recitazione, nella musica, nella scrittura portando avanti un coraggioso e coltissimo discorso-lavoro sulla lingua italiana, in cui ricerca e gioco, necessità e invenzione, convivono con forte coesione.

In questo suo nuovo libro, ideale prosecuzione del precedente La Merca, continua la sua personale meditazione su due argomenti che dovrebbero essere sempre i “fondamentali” per ogni scrittore che si rispetti: il linguaggio e il proprio io.

Linguisticamente, Virus71 è un esercizio di “spaesamento”: qui il lirismo, benché espresso usando metriche e formule perfette e piene di perizia tecnica, viene continuamente mosso e “contagiato” da una grande varietà di tracce anti-poetiche: espressioni gergali, anatemi, manierismi, prestiti lessicali mutuati altrove, anacronismi nonsense, stilemi teatrali etc. Con inoltre un ritmo del dettato che rimane forsennato, tanto che si ha l’impressione che il libro piuttosto che scritto, sia anche se non soprattutto detto.

Ma questo lavoro sul linguaggio sarebbe nulla se non fosse centrale, nel libro, la “nudità” dell’io dell’autrice: corpo duro (“metallico”) ma umanamente fragilissimo, perché prezioso; coscienza che racconta e si racconta; voce che canta e si di-strugge, nei tormenti e nelle ferite, nel pensiero e nel sesso, nel rapporto col proprio inconscio e nel rapporto con l’altro, con l’uomo.

Virus71 si struttura infatti come un poemetto in cui la voce riporta al “presente”, come in un rituale, da un lato i propri compagni maschili di sesso e vita, dall’altro la propria intimità nella forma di una bambina saggia (‹‹ Dov’è quella bambina saggia, Key/ che giocò con la vita per tutti i Mille Anni,/ fronteggiando la neve minuta a petto nudo,/ bevendo, facendo segnali, senza curarsi di sé/ né del diaccio, non del desco, né del dolore? ››).

Da qui in poi inizierà un viaggio dentro i percorsi rievocati in cui diventa chiaro una specie di itinerario che l’io, preso dentro queste fitte trame, compie, ovvero un cammino verso uno stato di coscienza in cui tutto diventa progressivamente afferente alla corporeità, tutto possibile, tutto una promessa di liberazione; in balìa di quel sentimento già espresso dall’autrice di Cime Tempestose e teorizzato da Carmelo Bene per il suo teatro: il demone del femminile.