FINESTRE D'ACQUA
di Daniele De Angelis
Luce . Acqua . Riflesso . Lente . Diaframma . Occhio . Stampa . Altri occhi . Il mondo visto rifratto, il mondo immobilizzato come riverbero del reale. Fabrizio De Fabiis attraverso la macchina fotografica guarda la realtà in modo indiretto, quasi a negare al mezzo meccanico la sua specificità oggettiva; ciò che vediamo è vero, esiste, eppure è impalpabile. Ogni immagine vive una condizione precaria, sempre sul punto di sparire per l'incresparsi dell'acqua, senza la certezza che nella successiva quiete della superficie tutto si ricomporrà identico. La natura è lì, negli scatti dai colori spesso acidi, freddi, o nei profondi chiaroscuri del bianco e nero, eppure resa distante dall'immagine stampata alla quale si aggiunge la distanza dello specchio d'acqua, che ridona quella natura velata e capovolta. Su questo invisibile piano forme e colori sfumano nell'indistinto, nell'astratto di sovrapposizioni e fusioni inattese; è come se lo sguardo di Fabrizio si spingesse oltre il concreto, suggerendo ulteriori possibilità del reale. Delle semplici pozzanghere si tramutano in finestre aperte per un bagliore su una realtà metafisica; le immagini, anche se immobilizzate nello scatto, hanno l’essenza di fulminee apparizioni di sconosciute dimensioni della natura, nelle quali la bellezza sembra sfaldarsi nel riflesso abbacinante della luce, in una purezza mentale e astratta.
di Daniele De Angelis
Luce . Acqua . Riflesso . Lente . Diaframma . Occhio . Stampa . Altri occhi . Il mondo visto rifratto, il mondo immobilizzato come riverbero del reale. Fabrizio De Fabiis attraverso la macchina fotografica guarda la realtà in modo indiretto, quasi a negare al mezzo meccanico la sua specificità oggettiva; ciò che vediamo è vero, esiste, eppure è impalpabile. Ogni immagine vive una condizione precaria, sempre sul punto di sparire per l'incresparsi dell'acqua, senza la certezza che nella successiva quiete della superficie tutto si ricomporrà identico. La natura è lì, negli scatti dai colori spesso acidi, freddi, o nei profondi chiaroscuri del bianco e nero, eppure resa distante dall'immagine stampata alla quale si aggiunge la distanza dello specchio d'acqua, che ridona quella natura velata e capovolta. Su questo invisibile piano forme e colori sfumano nell'indistinto, nell'astratto di sovrapposizioni e fusioni inattese; è come se lo sguardo di Fabrizio si spingesse oltre il concreto, suggerendo ulteriori possibilità del reale. Delle semplici pozzanghere si tramutano in finestre aperte per un bagliore su una realtà metafisica; le immagini, anche se immobilizzate nello scatto, hanno l’essenza di fulminee apparizioni di sconosciute dimensioni della natura, nelle quali la bellezza sembra sfaldarsi nel riflesso abbacinante della luce, in una purezza mentale e astratta.
Vedere
l’invisibile, l’apparizione di una realtà ulteriore, non è cosa priva di rischi
e contrasti, e la tensione metafisica
dell’osservatore si tramuta all’istante in inquietudine tragica: la foto
suggerisce l’esistenza di un altrove ma non può condurre ad esso, ne è solo il
riflesso di un riflesso. Questo limite tra visibile ed esperibile, tra concreto
e trascendente, innesca un sovraccarico drammatico di attese che Simone Weil,
anche se in un contesto filosofico e teologico – ma non sono da tralasciare gli
studi e gli interessi scientifici, spirituali e filosofici di Fabrizio – così
riassume: il metodo proprio della
filosofia consiste nel concepire chiaramente i problemi insolubili nella loro
insolubilità, quindi nel contemplarli, fissamente, instancabilmente, per anni,
senza nessuna speranza, nell'attesa. Secondo questo criterio ci sono pochissimi
filosofi. Pochi è dire ancora molto. Il passaggio al trascendente avviene
quando le facoltà umane – intelligenza, volontà, amore umano – urtano un
limite, e l'essere umano resta su questa soglia, al di là della quale non può
fare un passo, e questo senza lasciarsene distogliere (da La
connaissancee surnaturelle, Parigi
1950). Se a “filosofo” si sostituisse “fotografo” il discorso manterrebbe
ugualmente il suo senso. Le immagini di Fabrizio De Fabiis vivono quindi su
questa soglia ma sono in grado di trarre da tale limitazione la forze stessa
del fotografare, ingaggiando in ogni scatto una sfida con il reale, affinché si
possa vedere, con occhi finiti e materiali, l’invisibile e il metafisico, anche
solo per un istante, per un click.
Nota critica composta in occasione della mostra personale "Riflessi nell'acqua" (11 novembre - 9 dicembre 2012, Spazio NovaDea, Libreria Prosperi, Ascoli Piceno; fotografie tratte dal libro Studio d'Artista, Sigismundus Editrice 2012)