giovedì 11 novembre 2010

ALTRI CINQUE ELABORATI DALL'UNIVERSITA' DI INNSBRUCK


Altri cinque elaborati inviati alla Redazione de “La Gru” dagli studenti del dipartimento di italianistica dell’Università di Innsbruck, a seguito del workshop tenuto che abbiamo tenuto nel 2009 in collaborazione con i docenti Angelo Pagliardini e Carla Leidlmair-Festi e grazie al sostegno dell'Italien Zentrum di Innsbruck, nella figura della sua direttrice Barbara Tasser. In tale occasione gli studenti sono stati invitati a scrivere per il blog de “La Gru” un brano in lingua italiana sul tema del rapporto tra cultura italiana e cultura austriaca.
(I primi tre elaborati sono contenuti nel post precedente.).


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Una battaglia a palle di neve
[di Fabio Carta]


Era la fine degli anni novanta. Fabrizio, un ragazzino dodicenne di origini italiane e cresciuto in Austria, andava a scuola come ogni altro giorno. Fabrizio era un ragazzino normale come tutti gli altri, si interessava di sport, amava la musica e cominciava a guardare le ragazze. Era un ragazzino piuttosto timido ed introverso e anche se aveva degli amici a scuola talvolta si sentiva un po’ escluso. Ma non perché era mezzo italiano o perché andava troppo bene o male a scuola, infatti era uno scolaro abbastanza mediocre, ma piuttosto perché non voleva stare al centro dell’attenzione o partecipare ai numerosi scherzi a qualche compagno, che certe volte erano veramente cattivi, e talvolta preferiva non parteciparci e starsene semplicemente da solo. Luca, il suo migliore amico e anche lui figlio di italiani, invece, era il buffone di classe e faceva divertire tutta l’aula. Amava essere al centro dell’attenzione ed intratteneva persino gli insegnanti. Fabrizio per questo fatto a volte lo ammirava e a volte lo odiava, ma ciò nonostante erano sempre assieme e si frequentavano ogni giorno. Il fatto di essere italiani o mezzo italiani certamente non disturbava i due ragazzi anche se ogni tanto dovevano sopportare gli stupidi insulti dei loro compagni, insulti del tipo “mangiaspaghetti”, “mafiosi”, che sono i tipici cliché degli italiani in Austria. Certamente i due non potevano far nient’altro che scherzarci sopra e non prendere tutto sul serio. Essendo cresciuti entrambi in Austria, i due ragazzi non si consideravano nemmeno del tutto italiani. Fabrizio andava a trovare i parenti in Italia ogni anno e anche Luca aveva contatti con i parenti italiani, ma la maggior parte del tempo i due ragazzi restavano in Austria. Il padre di Luca aveva un piccolo ristorante italiano dove lavorava giorno e notte, mentre il padre di Fabrizio lavorava come finanziere di dogana al valico italiano.
Quel giorno dopo scuola però accadde qualcosa che si impresse nella mente di Fabrizio. Andando a casa qualcuno da dietro gli gridò qualcosa come: “Ehi mangia spaghetti, guarda che quella ragazza che stavi guardando stamattina è mia.” Non sapendo di che cosa stava parlando il ragazzo continuo la sua strada, quando ad un tratto venne colpito da una palla di neve in testa. “Allora non hai proprio capito… Ce l’ho con te, figlio di mafiosi!”. Fabrizio si girò e venne di nuovo colpito da una palla di neve, questa volta in mezzo alla faccia e capii che non stava giocando. Provò a rispondergli: “Guarda che ti stai sbagliando, non ho fatto niente”, ma venne colpito da sempre più palle di neve. Improvvisamente arrivò suo amico Luca che lo aiutò a difendersi. I due ragazzi “risposero al fuoco” o meglio alle palle di neve, e con l’aiuto di un altro amico riuscirono a scappare bagnati fradici dalla neve.
Arrivato a casa Fabrizio non raccontò cos’era successo e si cambiò. E quello fu il giorno in cui cominciò a pensare il perché gli avevano tirato addosso quelle palle di neve. Certamente non era successo niente di grave, ma quegli insulti non li avrebbe dimenticati tanto in fretta.

Fabio Carta

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Breve viaggio nel Tirolo tra Alpi e tradizioni
[di Beatrice Baumgartner]


Dove si trova il Tirolo ...
Il Tirolo, una regione austriaca a cavallo tra le Alpi, comprendeva fino alla prima guerra mondiale il Tirolo orientale e il Sudtirolo. In seguito al trattato di Saint-Germain del 1919 fu suddiviso in Tirolo settentrionale (Austria) e meridionale (Sudtirolo, Trentino).

Voi parlate austriaco, vero?
Devo deludervi. L’opinione predominante che in Austria si parli non il tedesco ma una lingua tutta diversa - l’austriaco - è falsa. Parliamo e impariamo tutti sin dalla culla - in Germania, Svizzera e Austria - il tedesco. Certamente, i dialetti austriaci si distinguono da quelli tedeschi (la pronuncia è meno dura, utilizziamo spesso altre parole per designare le stesse cose,...) Infatti, le discussioni accese attorno a domande di base tipo: si dice „Konfitüre“ (ted.) piuttosto di „Marmelade“ (austr.)o si pronuncia „Valentinstag“ con la „f“ [Falentinstag], come in Germania, o con la „w“ [Walentinstag] non perdono mai l’attualità. A parte questi piccoli disaccordi linguistici parliamo, scriviamo e capiamo tutti il tedesco.

Siete stati dei bravi bambini?
Spero di sì. Se no, il Nikolaus non verrà a portarvi dolci e giocattoli, come fa anche la vostra befana, ma vi porterà addirittura un bastone; e il Krampus vi ricorderà che dovete fare i bravi. Chi di voi è più grande e sa che dietro la maschera si nasconde un uomo, non si lascerà intimidire da questo diavolo bruttissimo, ma parteciperà alla prova di coraggio del Krampustratzn.
Ma siate prudenti! Se siete in compagnia del Nikolaus non vi succederà nulla di male ma il 5 dicembre quando c’è la sfilata dei diavoli - Krampustag - nessuno vi proteggerà dei Krampus in giro con verga e catena e la cui presenza la sentirete (prima di vederli) dal suono delle campanecce da mucca che portano.
Non preoccupatevi! Da qualche anno, la registrazione dei Krampus presso la polizia locale, che gli assegna un numero da attaccare sul costume, è obbligatoria per impedire violenza eccessiva a cui spinge l’anonimato di solito garantito dal costume. E inoltre: le persone buone non devono temere niente...

Advent, Advent ein Lichtlein brennt!
Profumi di biscotti, mandarini, cannella ... riempiono la casa. L’Avvento è finalmente arrivato! I bambini non vedono l’ora di accendere, una dopo l’altra, le quattro candele della corona dell’Avvento e di festeggiare ogni domenica cantando in famiglia canti natalizi, facendo vari tipi di biscotti assieme alla mamma e, soprattutto, scrivendo una lettera al Christkindl. Non una semplice lista di desideri, ma una vera e propria lettera decorata di disegni e poi inviata al Christkindl. Però non tramite la posta. La sera, la lettera viene messa sul davanzale assieme ad una candela accesa cosicché gli angeli vedano la lettera e la portino da Gesù bambino. Se i bambini sono stati buoni, il giorno dopo la lettera è sparita e la candela spenta. Se no, devono aspettare più giorni e stare buoni, finché gli angeli porteranno finalmente via la lettera.
Un giorno prima di Natale, la porta della stanza dove si festeggerà (di solito il salotto) viene chiusa, i bambini non possano più entrare e gli angeli possano preparare tutto per la sera di Natale: regalini, albero, presepe ... con l’aiuto dei genitori, i soli che hanno il permesso di entrare nella stanza. Quei due giorni i bambini sentono ogni tanto rumori dall’altra parte della porta e perciò provano a dare un’occhiata al Christkindl, agli angeli ed ai regalini che portano. Invano! Arrivata la sera del 24 dicembre „gli angeli“ suonano una campanella per segnalare ai bambini che hanno il permesso di entrare in salotto. Là, li aspetta una stanza illuminata dalle candele dell’albero di Natale sotto al quale si trovano i regalini e il presepe - l’atmosfera festosa viene sottolineata dalla musica natalizia.

Qui la moglie e là il marito
Ognuno va dove gli par
Ognun corre a qualche invito,
chi a giocar chi a ballar.
Carlo Goldoni

La tradizione carnevalesca di Venezia è, sicuramente, quella più nota nel mondo e per questo vorrei farvi immergere nella Venezia tirolese e farvi conoscere il carnevale più famoso e bello della regione tirolese che si svolge non ogni anno, ma una volta su quattro anni, a Imst: lo Schemenlaufen. Oltre al fatto che gran parte dei costumi deve essere rifatta per ogni sfilata, un compito di cui si occupano le moglie dei partecipanti (che sono solo gli uomini!), la costruzione segreta dei carri che partecipano alla sfilata finisce spesso in una vera competizione tra i costruttori.

Un po’ di storia ...
I primi documenti della tradizione dello Schemenlaufen a Imst risalgono al 1500, ma questo rito di fecondità, che annuncia il rinnovo della natura, si suppone che abbia origini più antiche. Le maschere e i loro gesti simbolizzano la lotta tra inverno e primavera, vita e morte: così l’azione di picchiare e bagnare la gente (soprattutto le donne) è un rito di fecondità risalente a numerosi riti dell’antichità greca.

Una gabbia di matti
Febbraio. Domenica mattina (09:30) prima di martedì grasso. Imst è strabbocante di turisti, gente del posto, circa novecento maschere (Sackner, Spritzer, Kübelmaje, Roller, Scheller, Laggeroller, Laggescheller, Hexen e Hexenmusik ecc.) e di carri sui quali si offrono delle bibite agli spettatori. La gente si allinea sul bordo della strada per ammmirare la sfilata: le streghe danno colpi (che fanno più male di quanto si penserebbe) a spettatori selezionati, la Kübelmaje - equipaggiata di una scodellina da legno - li incipria e lo Spritzer li schizza con acqua. Dunque „full service“ e coinvolgimento completo degli ospiti dello spettacolo! Le star dell’evento - Laggeroller e Laggescheller - compaiono solo in coppia e danno (accanto alle streghe) agli spettatori la possibilità di acquistare un ciondolo – a forma di maschera di Laggeroller – che viene offerto su delle tavole che si spostano mano a mano che la sfilata continua per le strade del villaggio. La sfilata termina alle sei la sera nella piazza principale di Imst dove si svolge il finale, il Z’sammschalle, del Schemenlaufen: tutti ballano, saltano un’ultima volta per concludere il giorno festivo.
Siccome i giovani avevano l’abitudine di organizzare il loro “carnevale” e andavano in giro con delle maschere per imitare gli adulti, negli anni 30 del secolo scorso si è affermata un’altra tradizione: quella della Buabefasnacht a cui partecipano i bambini di Imst. È un carnevale più semplice, con i soli carri principali e la presenza quasi esclusiva di Spritzer giacché i bambini cercano di approfittare della possibilità di spruzzare d’acqua i loro insegnanti senza conseguenze. Accanto a loro c’è la Hexenmusik – una banda di streghe costituita da giovani musicisti, che accompagna la minisfilata con una musica strana e quasi demoniaca.

Beatrice Baumgartner

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Intervista alla nonna
[di Petra Gebhart]


Mia nonna, Agnes Gasser, ha 80 anni e abita a Ellbögen, un paesino tirolese di mille abitanti nella Valle Wipptal. Lavorava come apicoltrice e affittava delle camere a casa sua. Io, Petra Gebhart, ho 28 anni e sono di Völs, un sobborgo di Innsbruck. Sono mamma di un bambino di tre anni e studio lingue.
Un pomeriggio ci siamo incontrate per parlare di un tema di cui si discute molto in questi tempi, quella della residenza. Ecco il risultato della nostra conversazione.

P = Petra
NA = nonna Agnes

1. Che cosa vuol dire per te essere nata e vivere nel Tirolo?
P: Per me la residenza fa parte della mia identità, ma non la costituisce. È il luogo che mi fa star bene. Secondo me, la mia identità è multiculturale e dinamica.
Comunque oggi vivere nel Tirolo, vuol dire stare con la mia famiglia in un posto che mi dà fiducia e tranquillità.
N: Sono orgogliosa di essere nata e di vivere nel Tirolo. C’è una qualità di vita molto alta. Vivere nel Tirolo è vivere in montagna, in mezzo alle tradizioni e in una comunità pronta ad aiutare.

2. Che importanza ha la storia del Tirolo per la tua identità?
P: La storia è lontana e non mi tocca nel mio essere quotidiano. Qualche volta viene ricordata nelle commemorazioni – come quella ultima in memoria dell’ eroe nazionale Andreas Hofer che ha condotto i tirolesi tre volte alla vittoria contro Napoleone. Anche nell’inno del Tirolo si ricorda Andreas Hofer. Ma per dire la verità questa manifestazione non ha suscitato in me emozioni di orgoglio. Fa parte della nostra storia ma non della mia identità.
N: Certo che la storia ha una grande importanza. Senza la storia non saremo quello che siamo oggi. Guarda, la mia identità è tirolese, non è neanche austriaca. È questo orgoglio sicuramente è nato con la guerra di liberazione nel 1809 condotta da Andreas Hofer. Nel Tirolo si sviluppò uno spirito comunitario prima che esistesse qualcosa del genere sulla base nazionale. Quella lotta per la patria e quello spirito esistevano anche ai miei tempi. Spesso la vita era una lotta per sopravvivere e i tirolese si aiutavano sempre a vicenda. Mi sono sempre sentita sicura e protetta – diciamo che mi sentivo in buone mani in mezzo ai tirolesi. Siamo un popolo molto speciale.

3. Secondo te che importanza hanno le usanze tirolesi/del tuo paesino?
P:Penso che le usanze formino la base di ogni identità. Vanno considerate come il risultato di un’eredità immutabile. Sono come simboli e azioni simboliche che formano il concetto di patria, dal momento che si perdono sempre di più o, diciamo meglio, che spesso vengono ridotte ad attrazione turistica.
N:Le usanze sono molto importanti, perché fanno parte della nostra storia. Dobbiamo curarle e non devono essere cambiate. Noi facevamo sempre parte di queste tradizioni. Come sai, tuo nonno era capitano degli Schützen, che è una funzione molto stimata.

4. Sei mai stata lontana dal Tirolo per andare all’estero? Questo ha cambiato il tuo modo di vedere la tua residenza d’origine?
P: Per un paio d’anni la mia vita era un “viaggiare, partire, tornare e di nuovo partire”. Ero sempre in cerca di una casa diversa, là fuori nel mondo. Ho conosciuto culture, usanze, tradizioni e lingue diverse. Dopo tutti i viaggi ho scoperto il valore di sentirsi a casa e di essere tornata. E questo ha cambiato il mio modo di vedere la “patria”, sia in modo positivo che negativo. E spesso confronto tra il mio paese e quelli che ho visto, cercando di farlo senza giudicare troppo.
N: Si, sono stata in Svizzera per tre anni. Ho lavorato come collaboratrice domestica da una famiglia svizzera. Non direi che ha cambiato il mio modo di vedere il Tirolo. Ho scoperto forse ancora di più quanto la mia patria è importante per me. Sono tornata con gioia e non volevo più lasciare il piccolo paesino dove sono cresciuta.

5. Quali motivi hanno fatto perdere il patriotismo di una volta? E pensi che i giovani si sentano “tirolesi” allo stesso modo che la tua generazione?
P: La nostra generazione è cresciuta in un ambiente globalizzato con delle possibilità più ampie. Secondo me, il patriottismo può essere visto come l’appartenenza e l’identità comune di un paese o di una regione. E sì che esiste ancora ma non è il patriottismo chiuso della mentalità “contadina.” È più un patriottismo aperto e meno rigido. E senza dubbio anche i giovani amano la loro patria.
N: I giovani sono molto diversi, ed è normale perché sono cresciuti in un modo completamente diverso. Sono più aperti e multiculturali. Secondo me, il fattore più grande che ha cambiato questo modo di identificarsi con la residenza è l’immigrazione. È un fenomeno che circonda soprattutto i giovani a scuola e nel loro posto di lavoro. È normale che faccia cambiare la gente. E poi, non c’e più bisogno di lottare per niente, così si perde anche la necessità di aiutare il tuo vicino, per esempio. C’è molta più anonimità – una cosa impensabile ai nostri tempi.

6. Il Tirolo è un paese a vocazione turistica. Pensi che il turismo cambierà il nostro paese?
P: Il turismo crea dei non-luoghi che danno i brividi a ogni tirolese. Nella scenografia delle Alpi tirolesi saltano all’occhio questi alberghi kitsch a 5 stelle accanto alle arene sciistiche. La cementificazione ci ruba la perla del Tirolo: la bellezza della nostra natura!
N:Secondo me, il turismo non cambia il nostro paese, sono più gli immigrati che rimangono qui. Il turismo porta i soldi e sappiamo tutti che il Tirolo ha bisogno del turismo. Anch’io ho avuto una piccola pensione con sette camere e i turisti erano sempre una fonte di guadagno abbastanza buona. Qui, dove abito io, non vedo nessun cambiamento negativo a causa dei turisti.

Petra Gebhart

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Una lettera
[di Julia Ackerer]


Cara Anna,
è tanto tempo che non ci siamo sentite. Allora, ti trovi bene a Roma? Penso che la città ti piaccia moltissimo. Dopo il mio ritorno in Austria tutto sembra un po’ strano. Dopo cinque mesi di soggiorno a Roma ci si sente già un pochino “italiani”. Infatti, l’Austria e l’Italia sono paesi veramente diversi e mi ricordo specialmente di quel giorno quando siamo andati a fare il codice fiscale. Esperienza incredibile! Dopo aver camminato per ore finalmente siamo arrivate all’ufficio dove si fa il codice fiscale. C’erano tantissime persone e pochissimi impiegati. Ci sono volute due ore per ricevere questo maledetto codice fiscale di cui si ha bisogno per tutto, per esempio se si vuole registrarsi un cellulare oppure una chiavetta per l’internet ecc. Al solo pensiero agli impiegati italiani subito mi arrabbio. Pensando all’impiegato del negozio di Tim, mi vengono in mente alcune fatti non proprio simpatici. Ogni mese dovevo attivare di nuovo la mia chiavetta internet e un giorno l’impiegato mi ha dato delle informazioni sbagliate, e io senza saperlo ho pagato il doppio per il canone mensile. Questo era veramente il colmo della sfacciataggine! Spero che tali avvenimenti snervanti non capiteranno a te. In tali occasioni mi sono sentita veramente austriaca, perché sono sicura che cose simili non succedano mai in Austria. Tu lo sai che in Austria nessuno ne approfitterebbe di te solo perché sei straniero. Quindi mi raccomando, stai attenta!
Hai già conosciuto tanti italiani oppure soltanto studenti di Erasmus? Credo di sì perché sei una ragazza molto estroversa e quindi penso che non sia un grande problema. Quali sono state le reazioni degli italiani quando si sono resi conti che sei austriaca? Hanno avuto dei pregiudizi? Nel mio caso, gli italiani sono stati molto sorpresi che non bevo mai birra. Pensavano che ognuno in Austria bevesse birra. Gli italiani hanno un’immagine stereotipata dell’Austria: ogni austriaco/austriaca indossa il“Dirndl” oppure la “Lederhose”; gli austriaci sono troppo organizzati e un po’ riservati. In effetti, questi pregiudizi non sono veri per niente!!!
Un’altra osservazione che ho fatto durante il mio soggiorno era che anche se il mio concetto di residenza è cambiato, però la mia identità è restata la stessa. Dopo qualche settimana mi sono resa conta che Roma era diventata la mia residenza e quindi anche la mia patria per un certo periodo. Al termine “residenza” associo un certo ambiente sociale, familiare, un luogo dove mi sento bene. Ma la mia identità non è cambiata, e Secondo me non cambia mai perché è collegata a un luogo dove si è vissuta l’infanzia, dove c’è la famiglia oppure semplicemente dove ci sono le mie radici. Che ne pensi tu? Sei d’accordo?
In ogni caso spero cha passerai un bel soggiorno a Roma e non vedo l’ora di venire lì a trovarti. Ci sentiamo presto!
Julia

Julia Ackerer

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Lettera ad un’amica
[di Ursula Stöhr]


Ciao carissima,
ieri sera ho dovuto pensare a te! Figurati, sono già passati sei mesi da quando sono ritornata dall’Italia! Comunque, a parte qualche problema e ostacolo posso veramente dire che è stato uno dei migliori periodi della mia vita. E adesso tu ti trovi nella stessa situazione in cui mi trovavo io esattamente un anno fa! Sei all’estero, lontana dalla tua famiglia e da noi, i tuoi amici, e vivi in una città che non hai mai visto prima, costretta a parlare una lingua che non è la tua madrelingua. Non ti sei sentita estranea fin all’inizio? Cominciando dal fatto che, grazie ai tuoi belli capelli biondi, ognuno vede già da lontano che non sei un’italiana!? Ma è successo anche a te che dopo un po‘ Ferrara è diventata la tua nuova residenza? Non ti senti già a casa in quella piccola città emiliana? Penso di sì!
Ti senti già italiana? Anche se io ho subito accettato che Ferrara fosse la mia nuova residenza, il nuovo posto al centro della mia vita, non sono diventata italiana con tutto il cuore, una piccola parte di me è rimasta austriaca. Però, con il passare dei mesi, ho contratto alcune qualità morali degli italiani, per esempio sono sempre arrivata con alcuni minuti in ritardo. Immagina, io la persona più puntuale del mondo – in ritardo – quasi incredibile, vero?! Inoltre ho cominciato a vivere alla giornata e parlando con le mie amiche ho iniziato a usare dei vezzeggiativi. E con ogni giorno a Ferrara la turista, che ero all’inizio del mio soggiorno, è scomparsa sempre di più e sono diventata una quasi italiana.
Però, anche se mi sono quasi sentita italiana, ho iniziato a pensare in italiano, ho vissuto il tran tran quotidiano degli italiani, ho conosciuto nuovi amici con cui ho potuto condividere gioie e dispiaceri, Ferrara non è diventata la mia nuova patria. Mancavano le radici famigliari, e soprattutto le caratteristiche del paesaggio tirolese che hanno formato la mia identità, tu lo sai che amo tanto le montagne.
C’erano troppe situazioni in cui mi sono ricordata di essere austriaca. Non succede anche a te, che qualche volta ti rendi conto di essere diversa? Di avere un altro background culturale?
Una volta, in cui mi sono sentita veramente austriaca e felicissima di essere austriaca, è stato proprio all’inizio del mio soggiorno a Ferrara. Sono andata all’ufficio della mobilità internazionale per informarmi dove era la mia facoltà e chi dei professori sarebbe responsabile per me, studentessa Erasmus. Il collaboratore dell’ufficio mi ha dato il nome di una professoressa e mi ha spiegato che dovevo andare all’ospedale in un reparto qualsiasi. Mi sono subito incamminata. Arrivata all’ospedale mi sono rivolta all’informazione per scoprire dove si trova l’ufficio della professoressa. Mi hanno detto il nome del reparto e mi hanno spiegato la via. Dopo un’ora ho finalmente trovato il reparto giusto. Sono entrata e ho chiesto se la professoressa fosse in servizio. Ehi, indovina! Giusto, non era nel suo ufficio, perché normalmente il suo ufficio è al CUS (centro universitario sportivo), dall’altra parte della città. Ci sono andata subito. Finalmente l’ho trovata, le ho spiegato chi sono e di che cosa ho bisogno e lei mi ha risposto: “Scusi, signorina, ma io non sono responsabile per Lei! Deve andare dalla mia collega!“ Ah, te lo dico, è stato veramente da impazzire! E dato che l’altra professoressa non era nel suo ufficio, sono dovuta ritornare il giorno dopo. Il giorno dopo, che sorpresa!, non l’ho trovata in ufficio. Per fortuna c’era un altro professore che ha potuto darmi l’indirizzo mail, così le ho scritto e dopo due giorni sono riuscita a incontrarla e a fissare i miei corsi. Te lo giuro, ho girato fino a quasi diventare pazza. Vivendo in Austria, si è così abituati ad un’organizzazione perfetta. Sì certo, anche in Austra la burocrazia mi dà fastidio, però si viene indirizzati sempre al reparto giusto, e si ottengono le informazioni di cui si ha bisogno.
Ma senti, sai quale storiella mi ha dimostrato che gli austriaci sono diversi dagli italiani? Allora, te lo racconto. Soprattutto per preavvisarti! Siccome anche tu sei una persona che ritiene naturale la puntualità. Allora: una sera ho deciso di invitare alcuni delle mie amiche a cena. Ho pensato di cucinare un risotto alle verdure e un po‘ di pollo al rosmarino. Siccome sapevo che tutti sarebbero stati un po‘ in ritardo, ho cominciato a cucinare perchè tutto fosse pronto alle 8, un mezz’ora prima l’orario dell’invito. Però figurati, alle 8 non è ancora arrivato nessuno!! Il risotto era pronto, il pollo aspettava di essere mangiato ed io ero già un po‘ arrabbiata. Ho tolto le pentole dal forno e mi sono messa ad aspettare. Con il passare i minuti mi arrabbiavo sempre di più. E sai che come odio la mancanza di puntualità! Con un’ora di ritardo sono arrivate le mie amiche ungheresi, senza scusarsi, e in silenzio ci siamo messe a mangiare un risotto stracotto. Le ragazze non hanno detto niente, perché si sono accorte che ero arrabbiatissima! Puoi immaginarlo, vero!? Non so perché la puntualità non ha importanza in altri paesi! Figurati, che cosa succederebbe in Austria se arrivassi in ritardo all’università o al lavoro! Non sarebbe possibile. Noi veniamo educati secondo il principio: meglio troppo presto che in ritardo! Sei d’accordo con me? Allora, mia cara, ti do un consiglio: non cominciare mai a cucinare prima che tutti siano giá arrivati!
Ah, e ti sei già accorta di un’altra grande differenza tra gli austriaci e i nostri vicini del sud? Guarda la vicinanza tra uomini e donne! Vedrai che si scambiano più affettuosità e contatti che noi! Non ti è mai successo che uno dei tuoi amici cominci a massaggiarti durante la lezione senza che tu l’abbia chiesto?? Te lo dico, non mi sono sentita a mio agio. Avevo la sensazione che fosse entrato nella mia privacy senza il mio permesso. Secondo me, il contatto non corrispondeva per niente al livello della nostra amicizia. Se lo avessi conosciuto meglio, non era un problema. Ma per me, una ragazza tirolese, era inadeguato. Un motivo per cui contatti di questo tipo sembrano strani a me come austriaca, potrebbe essere che la nostra mentalità è diversa. Essendo un popolo di montanari, siamo abituati alla solitudine, dato che quasi ognuno viveva su sul suo monte, lontano dagli altri. Coltivare l’amicizia era difficile, e il lavoro era più importante, perché solo così si sopravviveva. Tu che ne pensi?
Adesso tocca a te! Ti sei già trovata in una situazione in cui ti sei sentita veramente austriaca? Raccontamelo, sono proprio curiosa di saperlo!
Allora, stammi bene e goditi il soggiorno a Ferrara. Vedrai che finirà troppo in fretta.
Un abbraccio, Ursula

Ursula Stöhr

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