giovedì 16 maggio 2013

IL PANORAMA VERTICALE - AUGUSTO AMABILI - LIBRERIA PROSPERI/SPAZIO NOVADEA, ASCOLI PICENO



Titolo: Il panorama verticale
Autore: Augusto Amabili
Relatore: Daniele Capriotti
Luogo: Libreria Prosperi-Spazio NovaDea
Largo Crivelli, 8 – 63100 Ascoli Piceno 
Coordinamento e comunicazione: Spazio NovaDea 
Inaugurazione: 25 maggio ore 18.00
Info: 0736.259888 – 329.1979667
libreriaprosperi@hotmail.it


Sabato 25 maggio 2013 alle ore 18.00, presso lo Spazio NovaDea della Libreria Prosperi di Ascoli Piceno, si svolgerà l'incontro con il poeta Augusto Amabili che presenterà, con un intenso e suggestivo reading, la sua ultima raccolta poetica IL PANORAMA VERTICALE, edita da pochi giorni per l'ascolana Sigismundus Editrice di Davide Nota, con una prefazione del poeta Raimondo Iemma. Introdurrà la serata Daniele Capriotti.

Quella di Amabili è soprattutto poesia religiosa, ma ciò non è da intendersi in senso strettamente confessionale. Al contrario, nell'idea di non voler redimere né consolare il mondo, quand'anche questo sia stravolto di rabbia, oppure ridotto a immagine frivola, allucinata […] Ancora, nell'umiltà di non dirsi buoni, accettati, a propria volta assolti. Una religiosità priva della vanità del distacco e dell'ascesa; indifferente alla tentazione di dover consolare. (dalla nota introduttiva di Raimondo Iemma)

L'odierno/ pregnante di disimpegno livella l'orrore/ delle persone che fingiamo di essere/ il coraggio/ lo confonde il depistaggio/ in balia dei capricci/ e dei naufragi teorici/ degli imbecilli/ - nello zoo dello slogan/ le pecore non belano fanno shopping/ e poi zapping./ Resettato a zero e ricostruito/ lo spazio sociale/ comunismo fascismo, e ideologie di consumo/ un universo/ obeso del tanto/ che non ha riempito./ I virus nell'humus votano stress/ e telenovelas. (Augusto Amabili)

Durante la serata sarà inoltre possibile visitare la personale BELLO COME UNA PIETRA IN FACCIA dell'artista An Degrida, in esposizione fino all'8 giugno (lun-ven 9-13 e 16,30-20 sab 9-13).

Augusto Amabili è nato nel 1976 a San Benedetto del Tronto. Da sempre risiede a Spinetoli, nella vallata del Tronto, dove lavora come operaio in una ditta calzaturiera, dipinge e scrive poesia. Suoi testi sono apparsi sulla rivista La Gru, nei blog La poesia e lo spirito e La dimora del tempo sospeso, oltre che all’interno del libro collettivo Calpestare l’oblio (www.lagru.org; Cattedrale, 2010). Nel 2008 ha pubblicato per Fara il suo primo libro di poesia, La convalescenza, con un’introduzione di Davide Nota. Nel 2011 ha dato alle stampe per Sigismundus Editrice La gettata del cielo, con una nota prefatoria di Danni Antonello. Il panorama verticale è la sua terza raccolta.

mercoledì 8 maggio 2013

I FIORI DELLA CITTÀ FERITA - SU EMILIANO MICHELINI


I fiori della città ferita
di Davide Nota

Cos’è «il latrato del lupo che entra nelle scarpe»?
È la preistoria postmoderna che si consuma nei falò delle metropoli, nel battito cardiaco che scandisce il ritmo dei non luoghi di un’Italia avvelenata e mutante, su una bava cementizia che unisce costa adriatica e pedemonte, interrompendo il classico dell’antichità rurale, in una piana successione di capanni industriali, palazzine, ipermercati e bar. Il “soggetto implicito” che abita questo mondo è un ragazzino di vent’anni, nato e cresciuto nel cuore fondo di una Non-storia che canta attraversandola con versi espressionistici e allucinati, in una prima persona franta ed enigmatica, su moduli ricavati da una tradizione orfica e suburbana che traduce Dino Campana in Aldo Nove passando per le esperienze di Nanni Balestrini e Milo De Angelis, ma anche attraverso il cinema di David Lynch e le lande psico-acide del Post-moderno, tra transe iperreale ed antiestro ermetico.
La logica che muove questo racconto in versi, questa anti-epica immersiva e pop della provincia italiana del Duemila, è la scrittura automatica generata da una accelerazione connettiva di parole e di immagini scritte e parlate, che salgono e battono come bassi industrial da una cassa di risonanza interna, una vibrazione interiore alla terra e alla carne storiche.
È l’accelerazione di chi si trova a decifrare i quadri sconnessi dell’esistenza attraverso un filtro sopra cui scorrono i geroglifici audiovisivi di un tardo consumismo disidratato ma ancora assoluto, annodato come edera attorno agli oggetti della realtà e del quotidiano. Ed è la velocità di chi può farlo, soprattutto, solo per mezzo di una connessione alogica di immagini catturate con la coda dell’occhio, dalle corse in motorino alle estasi tecno-barocche della discoteca.
Ciò che resta di tali impressioni sensoriali è la traccia di un passaggio sedimentatosi come cenere sopra la pagina bianca o calcare incrostato attorno alle grate del depuratore storico, quando l’età fluviale sfocia ad altro mare. La poesia di Emiliano Michelini si va costruendo per strati sovrapposti di materiali incongrui, scorie contemporanee auto-filmatesi in dialoghi provvisori e disturbate immagini da videotape amatoriale anni Novanta, corrose dai pixel per mancanza di luce o sfocate dall’impossibilità di una messa a fuoco rapida.
Il sipario si alza su una data simbolica. È il 1998, tre lustri fa. L’autore ha poco più di vent’anni, chi ora scrive ne ha diciassette e sta guardando il film di Schnabel su Jean-Michel Basquiat in un garage di periferia di una provincia marchigiana, assieme ad alcuni amici che inizieranno a dipingere o a leggere poesia. Ciò che accadrà solamente tre anni dopo, nell’implosione delle Twin Towers di New York e dell’immaginario globale, è lontano quanto un Nuovo evo. La ricostruzione mnemonica e alienata di questo io storico in atto, adolescente nella bolla speculativa di una Storia che si immagina finita, è il soggetto poetante che canta in presente indicativo le azioni anti-epiche di un giovane abitante di una delle tante ininfluenti propaggini del sistema globale.
Ma in un contesto che potremmo definire post-Pop, e dove spesso l’ironia ha la funzione di sfigurare o di alienare il pathos tragico, fioriscono come pratoline urbane le forme liriche di un’esperienza umana. Sono piccole creature senza più nome, bianche e viola, sopra di esse passa un motorino; ma schiacciate si rialzano. Il prato dei giardini pubblici come il grande oceano tutto assorbe e perdona. Si nutre di lacrime e di pioggia, riposa all’ombra dei palazzoni a schiera. Qui passano le storie, si stratificano “le nostre impronte su questi giorni”, tracce slavate in uniposca o happy color di una generazione senza volto le cui voci si sono intrecciate in un selvatico coro di fuochi notturni ed albe raggelanti, da obitorio e claxon.
È “l’urlo che ha denti per vedere”, vedere “l’orda dei teen-ager [che] muove i primi passi”, “attaccati qui con questi chiodi” o “con le dita / sul pulsante degli scooter”. È Alice nel paese delle meraviglie traumatizzate, “La ragazza [che] continua il suo calvario, non ritrova / l’altra caramella, quella rossa, esplosa come un fungo, / come un’auto disastrata, cappottata, senza un io”.
Buona lettura.

[Prefazione a La circolazione del sangue di Emiliano Michelini, Sigismundus Editrice, 2013]