martedì 3 febbraio 2009

da I MITI DEL MONDO MODERNO di MIRCEA ELIADE

Uno stralcio improvviso e denso da I miti del mondo moderno di Mircea Eliade, apparso in «Nouvelle Revue Francaise» nel 1953 e contenuto nella raccolta di testi Mythes, rêves et mystères, edita da Gallimard nel 1957 [trad. it., Miti, sogni, misteri, Lindau, Torino 2007]. In questo saggio, Eliade si chiede se il mito sia sopravvissuto nella società moderna, se sia ancora rintracciabile e in quali forme. Il discorso dello storico delle religioni rumeno è molto ampio e abbraccia più ambiti della vita quotidiana, uno di questi è quello politico. Il passo che qui di seguito riporto, non riassume tutta la complessità del saggio, è piuttosto uno spunto di riflessione su confronti e tematiche che ciclicamente ci troviamo ad affrontare (la scorsa settimana si è celebrato il Giorno della memoria); inoltre credo che possa rappresentare un tassello all’interno delle considerazioni su la «Sinistra da rifare», argomento centrale nel lavoro delle nostra rivista.

...Ben diverso è il caso del comunismo marxista. Lasciamo da parte la validità filosofica del marxismo e il suo destino storico; fermiamoci alla struttura mitica del comunismo e al senso escatologico del suo successo popolare. Qualunque cosa si pensi delle velleità scientifiche di Marx, è evidente che l’autore del Manifesto dei comunisti riprende e prolunga uno dei grandi miti escatologici del mondo asiatico-mediterraneo, cioè la funzione redentrice del Giusto (l’«eletto», l’«unto», l’«innocente», il «messaggero», oggi, il proletariato), le cui sofferenze hanno la missione di cambiare lo stato ontologico del mondo. Infatti la società senza classi di Marx, e la conseguente scomparsa delle tensioni storiche, trovano il loro più esatto precedente nel mito dell’Età dell’Oro, che, secondo molte tradizioni, caratterizza l’inizio e la fine della Storia. Marx ha arricchito questo mito venerabile di tutta un’ideologia messianica giudeo-cristiana: da una parte, il ruolo profetico e la funzione soteriologica che egli attribuisce al proletariato; dall’altra, la lotta finale fra il Bene e il Male, che si può facilmente accostare al conflitto apocalittico fra Cristo e Anticristo, seguito dalla vittoria decisiva del primo. È anche significativo che Marx riprenda a suo modo la speranza escatologica giudeo-cristiana di una fine assoluta della Storia; si separa in questo dagli altri filosofi storicisti (per esempio, Croce e Ortega y Gasset), per i quali le tensioni delle Storia sono consustanziali alla condizione umana e, quindi, non possono mai essere completamente abolite.
Paragonata alla grandezza e al vigoroso ottimismo del mito comunista, la mitologia adottata dal nazionalsocialismo appare stranamente maldestra: non soltanto a causa delle limitazioni stesse del mito razzista (come si poteva immaginare che il resto dell’Europa accettasse volontariamente di sottomettersi allo Herrenvolk?), ma soprattutto grazie al pessimismo fondamentale delle mitologia germanica. Nel suo tentativo di abolire i valori cristiani e di ritrovare le fonti spirituali della «razza», cioè del paganesimo nordico, il nazionalsocialismo ha dovuto necessariamente sforzarsi di rianimare la mitologia germanica. Nella prospettiva della psicologia del profondo, simile tentativo equivale esattamente a un invito al suicidio collettivo: infatti l’eschaton annunciato e atteso dagli antichi germani è il ragnarökkr cioè una «fine del mondo» catastrofica che include un combattimento gigantesco fra gli dèi e i demoni e termina con la morte di tutti gli dèi e di tutti gli eroi e con la regressione del mondo nel caos. È vero che dopo il ragnarökkr il mondo rinascerà rigenerato (infatti, anche gli antichi germani conoscevano la dottrina dei cicli cosmici, il mito della creazione e della distruzione periodica del mondo); tuttavia sostituire al cristianesimo la mitologia nordica significava sostituire un’escatologia ricca di promesse e di consolazioni (per il cristiano, la «fine del mondo» completa la Storia e la rigenera contemporaneamente) con un eschaton decisamente pessimistico. Tradotta in termini politici, questa sostituzione significava all’incirca: rinunciate alle vecchie storie giudeo-cristiane e risuscitate dal fondo della vostra anima la credenza dei vostri antenati; i germani; poi, preparatevi per la grande battaglia finale fra i nostri dèi e le forze demoniache; in questa battaglia apocalittica, i nostri dèi e i nostri eroi – e noi con loro – perderanno la vita, e questo sarà il ragnarökkr, ma poi un mondo nuovo nascerà. Ci si domanda come una visione così pessimistica della fine della Storia abbia potuto infiammare l’immaginazione di almeno una parte del popolo tedesco; tuttavia il fatto esiste e continua a porre problemi agli psicologi.

Mircea Eliade da Miti, sogni, misteri, Lindau, Torino 2007

Daniele De Angelis

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