Sono già passati 10 anni, Fabrizio, da quando te ne sei andato; il tempo corre via spietato e veloce anche quando ci si sente più tristi e soli.
Sapessi quante volte, Fabrizio, ho pensato a te in questi anni, così come, sono pronto a scommetterci, ti hanno pensato in tanti, tutto il tuo popolo di emarginati e sconfitti, di puttane e assassini, di ladri e poveri, di gente, avresti detto traducendo Dylan, “come tutti noi/ non mi sembra che siano mostri/non mi sembra che siano eroi.”
Ti ho pensato tantissimo ad esempio, in quei torridi giorni del luglio 2001, vedendo il corpo senza vita di Carlo Giuliani, e le terribili e gratuite violenze alla scuola Diaz e alla caserma Bolzaneto. Che cosa avresti detto, quali meravigliosi versi avresti potuto regalarci vedendo la tua città, quella che tanto amavi perchè - dicevi- ti sembrava che avesse la faccia di tutti gli emarginati del mondo, umiliata e martoriata da quel Potere che ti faceva paura in quanto negazione dell’umanità? Mi piace pensare, Fabrizio, che se tu fossi ancora qui, gli arroganti sarebbero meno arroganti, i potenti meno potenti e più deboli perché non avrebbero mai potuto mettere a tacere la tua voce calda e suadente, inconfondibile come quella di un vecchio amico che anche se non vedi da 10 anni sai che è sempre lì pronto a confortarti con la commozione della musica e il magico calore della poesia.
E invece… quando penso a quest’Italia cosi spenta e triste, così ipocrita e qualunquista, pronta a bandire nuove crociate contro lo straniero e il diverso, solo i tuoi versi hanno la forza di restituirmi speranza per il futuro dell’umanità perché solo dal tuo immenso e inestimabile testamento culturale possiamo ricominciare a costruire un mondo finalmente a misura d’uomo.
Hanno invaso, Fabrizio, l’Afghanistan e l’Iraq, dimenticando il gesto di diserzione di Piero, la triste moglie dell’eroe “ che aspettava il ritorno di un soldato vivo e di un eroe morto che ne farà se accanto nel letto le è rimasta la gloria di una medaglia alla memoria” o il dolore della vedova di Vly “ che per mill’anni e forse ancor piangerà la triste sorte”.
Hanno negato persino il diritto alla morte a Eluana Englaro, e un rito funebre dignitoso a Piergiorgio Welby perché, proprio come era successo al tuo Michè “ di un suicida non hanno pietà”, scordandosi ancora una volta che “il suo bel paradiso Dio lo ha fatto soprattutto per chi non ha sorriso”. Hanno cioè dimenticato i tuoi insegnamenti amorevoli continuando però a usare il tuo nome come un vessillo, una bandiera, un alibi per lavarsi le loro coscienze sporche.
A questo proposito vorrei raccontarti la testimonianza di un ragazzo di Pordenone, tuo grande ammiratore e militante del centro sociale anarchico della sua città che con altri compagni anarchici si era recato nel 2001 con tanto di volantini a sostegno dell’internazionalismo e del solidarismo tra i popoli, ad una tua commemorazione organizzata dalla parrocchia locale. Ebbene: la sala del concerto era tappezzata da manifesti volti ad aizzare la cittadinanza contro il “ pericolo zingaro”, il ragazzo e i suoi compagni vennero fatti allontanare a suon di spintoni dai bravi parrocchiani perché infastidivano il pubblico con “ schifezze anarchiche”. Quando lessi di questa storia , Fabrizio, non volevo crederci; non potevo credere che si potesse propagandare la xenofobia attraverso le tue canzoni. Non potevo crederci, fino a quando anche a me non successe un fatto del genere, fino a quando non lessi per caso su un quotidiano nazionale che non merita la benché minima menzione, un articolo su di te, in cui si diceva testualmente ( sigh!) “ che negli ultimi anni della tua vita ti eri avvicinato alle posizioni politiche della Lega Nord.”
Quando superai il ribrezzo, la rabbia, la vergogna di vivere in un paese così poco rispettoso della memoria e della poesia mi sembrò di vedere tutto più chiaro, ancora una volta grazie ai tuoi versi immortali. Capì, proprio come il medico “ fui costretto a capire”, che la storia si ripete sempre uguale, e che ti era successa la stessa, identica cosa che era successa a quel signore crocifisso sul Golgota che tu definivi “ il più grande rivoluzionario di tutti i tempi” e cioè che il Potere, capendo che non avrebbe mai potuto cancellarti, cercava in tutti i modi di arruolarti tra le sue fila, cercava di deviare, diluire se non addirittura ribaltare il tuo pensiero e la tua poetica. E questo perché il Potere ti temeva, aveva paura di te, della libertà “ così preziosa come il vino, così gratis come la tristezza” che per tutta una vita hai cantato. Esattamente come dicevi a proposito di quel santo anarchico di Gesù Cristo sulla via della Croce:
Han volti distesi già inclini al perdono
ormai che han veduto il tuo sangue di uomo
fregiarti le membra di rivoli viola
incapace di nuocere ancora.
Il Potere vestito d’umana sembianza
ormai ti considera morto abbastanza
e già volge lo sguardo a spiar le intenzioni
degli umili, degli straccioni.
Ma gli occhi dei poveri piangono altrove
non sono venuti a esibire un dolore
che alla via dalla croce ha proibito l’ingresso
a chi ti ama come sé stesso.
D’altronde Fabrizio, non mi sembra più un paradosso che sia stato tu, ateo ed anarchico, ad insegnarmi, in barba a secoli e secoli di catechismo cattolico, il vero valore del cristianesimo e dell’eucarestia, cioè quello di “ versare il vino e spezzare il pane per chi(unque) dica ho sete, ho fame.”
Io non so se Dio esiste: ma sono convinto che se dovesse esistere, assomiglierebbe certamente più a te che non a tutti quei signori dalle lunghe tonache e dai portafogli gonfi che da 2000 anni benedicono i dittatori, si arrogano il diritto di decidere la vita e la morte altrui e bandiscono sempre nuove guerre nel nome di chi “ guerra insegnò a disertare.”
Grazie Fabrizio. Per tutto l’amore che ci hai insegnato e donato, per la poesia che ci hai lasciato in eredità, sperando, in fondo in fondo, che da essa possano nascere, come dal letame, i fiori più belli, quelli che hanno gli occhi rivolti al mondo e il cuore aperto verso i propri simili, quei fiori che tu avresti chiamato spiriti solitari o anime salve. Si, grazie Fabrizio per averci indicato la via difficile e tortuosa della salvezza, per essere stato per tutti noi non solo un maestro, ma un amico, un fratello, un compagno di giochi e soprattutto di vita. Grazie, come disse Don Antonio Balletto durante la tua omelia funebre, “per averci insegnato l’alfabeto dell’amore” di cui tanto avevamo e abbiamo ancora bisogno.
E perdonaci, se non riusciamo a pensare a te senza che le lacrime ci invadano gli occhi, senza che un senso di tristezza e impotente solitudine prenda il sopravvento su tutte le nostre parole più belle. Ma basta accendere lo stereo per comprendere che sei ancora con noi, con la tua voce levigata dalle sigarette e dal vino, con i tuoi versi e la tua musica, e soprattutto con il tuo cuore immenso e la tua ineffabile umanità. Per questo continuiamo e continueremo sempre a dirci: “ è stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati.”
Sapessi quante volte, Fabrizio, ho pensato a te in questi anni, così come, sono pronto a scommetterci, ti hanno pensato in tanti, tutto il tuo popolo di emarginati e sconfitti, di puttane e assassini, di ladri e poveri, di gente, avresti detto traducendo Dylan, “come tutti noi/ non mi sembra che siano mostri/non mi sembra che siano eroi.”
Ti ho pensato tantissimo ad esempio, in quei torridi giorni del luglio 2001, vedendo il corpo senza vita di Carlo Giuliani, e le terribili e gratuite violenze alla scuola Diaz e alla caserma Bolzaneto. Che cosa avresti detto, quali meravigliosi versi avresti potuto regalarci vedendo la tua città, quella che tanto amavi perchè - dicevi- ti sembrava che avesse la faccia di tutti gli emarginati del mondo, umiliata e martoriata da quel Potere che ti faceva paura in quanto negazione dell’umanità? Mi piace pensare, Fabrizio, che se tu fossi ancora qui, gli arroganti sarebbero meno arroganti, i potenti meno potenti e più deboli perché non avrebbero mai potuto mettere a tacere la tua voce calda e suadente, inconfondibile come quella di un vecchio amico che anche se non vedi da 10 anni sai che è sempre lì pronto a confortarti con la commozione della musica e il magico calore della poesia.
E invece… quando penso a quest’Italia cosi spenta e triste, così ipocrita e qualunquista, pronta a bandire nuove crociate contro lo straniero e il diverso, solo i tuoi versi hanno la forza di restituirmi speranza per il futuro dell’umanità perché solo dal tuo immenso e inestimabile testamento culturale possiamo ricominciare a costruire un mondo finalmente a misura d’uomo.
Hanno invaso, Fabrizio, l’Afghanistan e l’Iraq, dimenticando il gesto di diserzione di Piero, la triste moglie dell’eroe “ che aspettava il ritorno di un soldato vivo e di un eroe morto che ne farà se accanto nel letto le è rimasta la gloria di una medaglia alla memoria” o il dolore della vedova di Vly “ che per mill’anni e forse ancor piangerà la triste sorte”.
Hanno negato persino il diritto alla morte a Eluana Englaro, e un rito funebre dignitoso a Piergiorgio Welby perché, proprio come era successo al tuo Michè “ di un suicida non hanno pietà”, scordandosi ancora una volta che “il suo bel paradiso Dio lo ha fatto soprattutto per chi non ha sorriso”. Hanno cioè dimenticato i tuoi insegnamenti amorevoli continuando però a usare il tuo nome come un vessillo, una bandiera, un alibi per lavarsi le loro coscienze sporche.
A questo proposito vorrei raccontarti la testimonianza di un ragazzo di Pordenone, tuo grande ammiratore e militante del centro sociale anarchico della sua città che con altri compagni anarchici si era recato nel 2001 con tanto di volantini a sostegno dell’internazionalismo e del solidarismo tra i popoli, ad una tua commemorazione organizzata dalla parrocchia locale. Ebbene: la sala del concerto era tappezzata da manifesti volti ad aizzare la cittadinanza contro il “ pericolo zingaro”, il ragazzo e i suoi compagni vennero fatti allontanare a suon di spintoni dai bravi parrocchiani perché infastidivano il pubblico con “ schifezze anarchiche”. Quando lessi di questa storia , Fabrizio, non volevo crederci; non potevo credere che si potesse propagandare la xenofobia attraverso le tue canzoni. Non potevo crederci, fino a quando anche a me non successe un fatto del genere, fino a quando non lessi per caso su un quotidiano nazionale che non merita la benché minima menzione, un articolo su di te, in cui si diceva testualmente ( sigh!) “ che negli ultimi anni della tua vita ti eri avvicinato alle posizioni politiche della Lega Nord.”
Quando superai il ribrezzo, la rabbia, la vergogna di vivere in un paese così poco rispettoso della memoria e della poesia mi sembrò di vedere tutto più chiaro, ancora una volta grazie ai tuoi versi immortali. Capì, proprio come il medico “ fui costretto a capire”, che la storia si ripete sempre uguale, e che ti era successa la stessa, identica cosa che era successa a quel signore crocifisso sul Golgota che tu definivi “ il più grande rivoluzionario di tutti i tempi” e cioè che il Potere, capendo che non avrebbe mai potuto cancellarti, cercava in tutti i modi di arruolarti tra le sue fila, cercava di deviare, diluire se non addirittura ribaltare il tuo pensiero e la tua poetica. E questo perché il Potere ti temeva, aveva paura di te, della libertà “ così preziosa come il vino, così gratis come la tristezza” che per tutta una vita hai cantato. Esattamente come dicevi a proposito di quel santo anarchico di Gesù Cristo sulla via della Croce:
Han volti distesi già inclini al perdono
ormai che han veduto il tuo sangue di uomo
fregiarti le membra di rivoli viola
incapace di nuocere ancora.
Il Potere vestito d’umana sembianza
ormai ti considera morto abbastanza
e già volge lo sguardo a spiar le intenzioni
degli umili, degli straccioni.
Ma gli occhi dei poveri piangono altrove
non sono venuti a esibire un dolore
che alla via dalla croce ha proibito l’ingresso
a chi ti ama come sé stesso.
D’altronde Fabrizio, non mi sembra più un paradosso che sia stato tu, ateo ed anarchico, ad insegnarmi, in barba a secoli e secoli di catechismo cattolico, il vero valore del cristianesimo e dell’eucarestia, cioè quello di “ versare il vino e spezzare il pane per chi(unque) dica ho sete, ho fame.”
Io non so se Dio esiste: ma sono convinto che se dovesse esistere, assomiglierebbe certamente più a te che non a tutti quei signori dalle lunghe tonache e dai portafogli gonfi che da 2000 anni benedicono i dittatori, si arrogano il diritto di decidere la vita e la morte altrui e bandiscono sempre nuove guerre nel nome di chi “ guerra insegnò a disertare.”
Grazie Fabrizio. Per tutto l’amore che ci hai insegnato e donato, per la poesia che ci hai lasciato in eredità, sperando, in fondo in fondo, che da essa possano nascere, come dal letame, i fiori più belli, quelli che hanno gli occhi rivolti al mondo e il cuore aperto verso i propri simili, quei fiori che tu avresti chiamato spiriti solitari o anime salve. Si, grazie Fabrizio per averci indicato la via difficile e tortuosa della salvezza, per essere stato per tutti noi non solo un maestro, ma un amico, un fratello, un compagno di giochi e soprattutto di vita. Grazie, come disse Don Antonio Balletto durante la tua omelia funebre, “per averci insegnato l’alfabeto dell’amore” di cui tanto avevamo e abbiamo ancora bisogno.
E perdonaci, se non riusciamo a pensare a te senza che le lacrime ci invadano gli occhi, senza che un senso di tristezza e impotente solitudine prenda il sopravvento su tutte le nostre parole più belle. Ma basta accendere lo stereo per comprendere che sei ancora con noi, con la tua voce levigata dalle sigarette e dal vino, con i tuoi versi e la tua musica, e soprattutto con il tuo cuore immenso e la tua ineffabile umanità. Per questo continuiamo e continueremo sempre a dirci: “ è stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati.”
Fabio Monti
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