Su Virus71 di C. Daino
[di Gianluca Pulsoni]
‹‹ Non sono in forma, non sono piena/ non sono più ti dico che ho smesso/ da tempo ti ho detto che ho smesso/ l’essere dove il corpo si trova/ ho smesso di abitare le mie ossa ››. Come una confessione privata e allo stesso tempo una sottile dichiarazione di poetica – ma in questo caso la poesia è davvero tutto – questi cinque fulminanti versi introducono al meglio, a nostro avviso, l’incontro che un lettore può fare con Chiara Daino e il suo libro Virus71 (Aìsara, Cagliari 2010, pp. 126, euro 10).
L’autrice in questione è una artista polimorfa – www.chiaradaino.it è il suo riferimento in rete dove trovare tutte le informazioni – capace di lavorare nella recitazione, nella musica, nella scrittura portando avanti un coraggioso e coltissimo discorso-lavoro sulla lingua italiana, in cui ricerca e gioco, necessità e invenzione, convivono con forte coesione.
In questo suo nuovo libro, ideale prosecuzione del precedente La Merca, continua la sua personale meditazione su due argomenti che dovrebbero essere sempre i “fondamentali” per ogni scrittore che si rispetti: il linguaggio e il proprio io.
Linguisticamente, Virus71 è un esercizio di “spaesamento”: qui il lirismo, benché espresso usando metriche e formule perfette e piene di perizia tecnica, viene continuamente mosso e “contagiato” da una grande varietà di tracce anti-poetiche: espressioni gergali, anatemi, manierismi, prestiti lessicali mutuati altrove, anacronismi nonsense, stilemi teatrali etc. Con inoltre un ritmo del dettato che rimane forsennato, tanto che si ha l’impressione che il libro piuttosto che scritto, sia anche se non soprattutto detto.
Ma questo lavoro sul linguaggio sarebbe nulla se non fosse centrale, nel libro, la “nudità” dell’io dell’autrice: corpo duro (“metallico”) ma umanamente fragilissimo, perché prezioso; coscienza che racconta e si racconta; voce che canta e si di-strugge, nei tormenti e nelle ferite, nel pensiero e nel sesso, nel rapporto col proprio inconscio e nel rapporto con l’altro, con l’uomo.
Virus71 si struttura infatti come un poemetto in cui la voce riporta al “presente”, come in un rituale, da un lato i propri compagni maschili di sesso e vita, dall’altro la propria intimità nella forma di una bambina saggia (‹‹ Dov’è quella bambina saggia, Key/ che giocò con la vita per tutti i Mille Anni,/ fronteggiando la neve minuta a petto nudo,/ bevendo, facendo segnali, senza curarsi di sé/ né del diaccio, non del desco, né del dolore? ››).
Da qui in poi inizierà un viaggio dentro i percorsi rievocati in cui diventa chiaro una specie di itinerario che l’io, preso dentro queste fitte trame, compie, ovvero un cammino verso uno stato di coscienza in cui tutto diventa progressivamente afferente alla corporeità, tutto possibile, tutto una promessa di liberazione; in balìa di quel sentimento già espresso dall’autrice di Cime Tempestose e teorizzato da Carmelo Bene per il suo teatro: il demone del femminile.
Sono felice che Gianluca abbia messo l'accento sul "coraggioso e coltissimo discorso-lavoro sulla lingua italiana" di Chiara. Amo molto Virus 71, raccolta in cui il corpo si libera, per mezzo della parola, dei virus che lo hanno lacerato. Un lavoro coraggioso e drammatico di messa a nudo in cui però è sempre vivo lo spirito ludico e irriducibile dell'autrice.
RispondiEliminaGrazie Marcella!
RispondiEliminaSu Chiara sarebbe da scrivere di più e meglio, sarebbe da organizzare qualcosa di più complesso, anche con lei. Vedremo dai, tutto può succedere.
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