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sabato 1 giugno 2013

L'ESPAGNOLE - RAFFAELLA GRECO TONEGUTTI - LIBRERIA PROSPERI/SPAZIO NOVADEA, ASCOLI PICENO


Titolo: L'Espagnole
Autore: Raffaella Greco Tonegutti
Relatore: Alessandra Addari
Luogo: Libreria Prosperi-Spazio NovaDea
Largo Crivelli, 8 – 63100 Ascoli Piceno 
Coordinamento e comunicazione: Spazio NovaDea 
Inaugurazione: 10 giugno ore 18.30
Info: 0736.259888 – 329.1979667
libreriaprosperi@hotmail.it
lella.greco@gmail.com

Lunedì 10 giugno 2013 alle ore 18.30 la Libreria Prosperi di Ascoli Piceno ospiterà nello suo Spazio NovaDea l'incontro con la scrittrice e collaboratrice della Commissione Europea per le politiche migratorie Raffaella Greco Tonegutti, che presenterà il suo primo romanzo L'ESPAGNOLE (Editori Riuniti, 2013), nato a partire da una ricerca condotta tra le mogli dei minatori stranieri occupati nelle miniere belghe. Introdurrà la giornalista e blogger Alessandra Addari

Madame Isabel è L’Espagnole, anziana vedova che affitta camere per garantirsi la sopravvivenza in una Bruxelles multietnica e piovosa. Una mattina d’inverno, nella sua palazzina in mattoncini rossi, arriva Maddalena a occupare l’ultima stanza libera, in mansarda. La casa di Isabel è un luogo sospeso in cui giovani di passaggio portano le storie di una migrazione reversibile, fatta di opportunità da godere e da sfruttare. Isabel osserva le loro vite in  transito, gli amori fugaci, la ricerca del loro posto  nel mondo, mentre Maddalena, appena sbarcata in Belgio, ascolta i suoi racconti della fuga dalla Spagna di Franco, di un’Europa colma di frontiere, di un villaggio dove i minatori del vecchio continente  hanno condiviso la durezza dell’essere migranti,  nelle Fiandre del secondo dopoguerra. L’avventura  migratoria è il cordone che lega Isabel  ai suoi ospiti, ma è la passione per il suo passato a costituire il panno di fondo su cui Maddalena tesse e fila i frammenti della vita di Isabel. 
L’Espagnole è una dichiarazione d’amore per la tenacia con cui le donne migranti affrontano l’indefinitezza del vivere altrove.

Durante la serata sarà inoltre possibile visitare, per l'ultimo giorno, la personale BELLO COME UNA PIETRA IN FACCIA dell'artista An Degrida.

Raffaella Greco Tonegutti è nata a Roma nel 1979, si è laureata in Storia dell’Africa alla Sorbona (Parigi) e dottorata in Diritti Umani all’Università di Pisa. Studia i fenomeni migratori e l’accesso ai diritti/servizi fondamentali da parte delle popolazioni migranti in Europa, mentre collabora con la Commissione Europea sempre nell’ambito delle politiche migratorie. L’Espagnole è il suo primo romanzo, liberamente tratto da un’esperienza di ricerca in storia orale tra le mogli di minatori italiani, spagnoli, marocchini e turchi trapiantate in Belgio.

martedì 27 marzo 2012

GENERAZIONI - ENRICO PIERGALLINI - SPAZIO NOVADEA/LIBRERIA PROSPERI, ASCOLI PICENO



Titolo: Generazioni
Autore: Enrico Piergallini
Relatore: Daniele De Angelis
Luogo: Libreria Prosperi-Spazio NovaDea
Largo Crivelli, 8 – 63100 Ascoli Piceno

Coordinamento e comunicazione: Spazio NovaDea
Inaugurazione: 31 marzo ore 18.00
Info: 0736.259888329.1979667
libreriaprosperi@hotmail.it


Sabato 31 marzo 2012 alle ore 18.00, presso lo Spazio NovaDea della Libreria Prosperi di Ascoli Piceno, si svolgerà l'incontro con il poeta, Vicesindaco e Assessore alla Cultura del Comune di Grottammare (AP) Enrico Piergallini, il quale dialogherà con Daniele De Angelis del suo nuovo libro Generazioni, uscito lo scorso anno per i tipi della casa editrice ascolana Sigismundus. Ad incorniciare la conversazione saranno le atmosfere meditative dell'esposizione Fragments dell'artista Mona Lisa Tina, inaugurata in collaborazione con Sponge Artecontemporanea il 17 marzo scorso e visitabile fino al 29 aprile.

Questi versi esprimono una visione del mondo assassinato e in decomposizione, conseguenza della malattia distruttrice dell'uomo: vittima egli stesso della propria miserevole onnipotenza, accanitasi nei secoli dei secoli, contro l'inerme bellezza degli esseri viventi e della natura. (dalla nota di Eugenio De Signoribus)

si gravita sul peso dell’orrore/ colato nei budelli della terra/ e dove non esiste il tempo smuore/ il gemito di tutte le galassie// ma le masse dei mondi sbriciolati/ si versano in un punto a mulinelli/ e nel gorgo ribollono le stelle/ a grappoli rinasce l’universo (Enrico Piergallini)

Enrico Piegallini (1975) vive a Grottammare, nelle Marche. Nel libro Generazioni ha raccolto i testi scritti tra il 1999 e il 2011, anticipati in parte nella plaquette Giacimenti (2006), sulle riviste Nuovi Argomenti, Atelier, Nazione Indiana, La Gru e nell'antologia Calpestare l'oblio (2010).

lunedì 21 novembre 2011

SIGNORE E SIGNORI CARLO DELLE PIANE - MASSIMO CONSORTI - SPAZIO NOVADEA/LIBRERIA PROSPERI, ASCOLI PICENO


Titolo: Signore e signori Carlo Delle Piane
Autore: Massimo Consorti
Luogo: Libreria Prosperi-Spazio NovaDea
Largo Crivelli 8, Ascoli Piceno
Coordinamento e comunicazione: Spazio NovaDea
Data e ora: 26 novembre ore 18.00
Info: 0736.259888 – 329.1979667
libreriaprosperi@hotmail.it

Sabato 26 novembre 2011 alle ore 18.00, presso lo Spazio NovaDea della Libreria Prosperi di Ascoli Piceno, si terrà la presentazione della biografia Signore e signori Carlo Delle Piane (Testepiene, 2011) libro del giornalista e scrittore Massimo Consorti. Sarà presente l'autore.

Questa biografia sembra una storia inventata da uno dei nostri grandi sceneggiatori. Ho iniziato a leggerla così, senza alcuna pre-idea. Non immaginando, quindi, che mi avrebbe incantato. Il divertimento e l'interesse, crescenti e inaspettati, sono stati una notevole sorpresa. (Franco Battiato)

Anno per anno, film dopo film, non ci si addentra solo nella vita dell'attore Delle Piane, ma si rivive la storia d'Italia e degli italiani i cui sogni, le cui speranze, e il cui immaginario vengono riflessi sugli schermi delle sale cinematografiche, come in uno spettacolo. Attraverso gli occhi di Carlo Delle Piane rivediamo Vittorio De Sica, Antonio De Curtis, Aldo Fabrizi, Sophia Loren e tanti altri grandi maestri del cinema italiano ed internazionale. E, attraverso le parole di Massimo Consorti, conosciamo l'attore Delle Piane nella sua straordinaria carriera e scopriamo, forse per la prima volta, l'uomo Carlo.

Massimo Consorti, giornalista freelance, scrittore “dalla penna schietta ed essenziale”, è nato alcuni anni fa a Ripatransone, nelle Marche. Innamorato del cinema da sempre, ma incapace di farlo, si è accontentato di recensirlo e di proporlo in festival e rassegne che ha diretto in Italia e all'estero. Dopo gli studi universitari è stato inviato, corrispondente, collaboratore di agenzie, periodici e giornali. Dirige UT, rivista bimestrale d'arte e fatti culturali che tira la bellezza di 139 copie, però numerate. La frequentazione con Carlo Delle Piane ne ha affinato la capacità di sintesi fino a rasentare la reticenza.

Carlo Delle Piane, attore e regista, nato nel 1936, interprete in più di 100 pellicole, ha debuttato nel cinema nel 1948 in Cuore di Vittorio De Sica. Le sue doti lo hanno portato a lavorare nei più noti film dell'epoca, come Guardie e ladri di Steno e Mario Monicelli, insieme a Totò, e Un americano a Roma, sempre di Steno, al fianco di Alberto Sordi. Negli anni '70 nasce il sodalizio artistico con il regista Pupi Avati che lo sceglie per il film Tutti defunti... tranne i morti e per molte altre pellicole, tra cui Regalo di Natale, interpretazione per la quale ha ricevuto la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile alla 43ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia.

Durante la serata sarà possibile visitare, per l'ultimo giorno, la personale dell'artista Marzia Castelli, Floating shoes, inaugurata sabato 5 novembre 2011, ospitata nei medesimi locali dello Spazio NovaDea.

sabato 11 giugno 2011

IL CANTO DELL'ACQUA / RITRATTI - IVANA MANNI / MARCO FULVI - SPAZIO NOVADEA/LIBRERIA PROSPERI, ASCOLI PICENO


Titolo: IL CANTO DELL'ACQUA / RITRATTI
Autore:
Ivana Manni
Artista:
Marco Fulvi
Luogo:
Libreria Prosperi-Spazio NovaDea
Largo Crivelli, 8 – 63100 Ascoli Piceno
Coordinamento e comunicazione:
Spazio NovaDea
Inaugurazione:
17 giugno ore 18.00
Periodo esposizione:
17 giugno – 2 luglio 2011
Orario mostra:
dal lunedì al sabato
9.00-13.00 16.00-20.00
Info:
0736.259888 – 329.1979667
libreriaprosperi@hotmail.it

Ancora un doppio evento venerdi 17 giugno 2011 alle ore 18.00, presso lo Spazio NovaDea della Libreria Prosperi di Ascoli Piceno: la scrittrice Ivana Manni presenterà il suo ultimo libro Il canto dell'acqua, edito dalla Marte editrice, mentre l'artista Marco Fulvi inaugurerà la personale Ritratti, visitabile fino al 2 luglio.

IL CANTO DELL'ACQUA di Ivana Manni
L'energia liberatoria, che rompe i diaframmi e i blocchi, è il canto dell'acqua: il flusso, strano e improvviso, che avvia il movimento: quello interiore, quello cosmico. […] L'esistenza, così liberata, diventa agevole: è l'Eden sognato, inutilmente idealizzato e in verità facilmente realizzabile, quando l'acqua vince sugli altri elementi e la musica rivela di essere la vera sostanza dell'universo in cui il sogno si identifica con la realtà, l'adulto con il bambino, il femminile con il maschile, il giorno con la notte. (dall'introduzione di Quirino Principe)

RITRATTI di Marco Fulvi
Marco Fulvi, scevro da barocchismi, congela su fondi cromatici di squisita vivezza personaggi privi di orpelli. Letteralmente messi a nudo, essi sono vestiti soltanto della loro mimica facciale. Ogni sguardo, ogni alzata di sopracciglio, ogni sorriso abbozzato o ruga d'espressione caratterizza fortemente la figura e la rende “unicum” nell'economia della composizione. (Lorena Narcisi)

Ivana Manni è architetto; vive e lavora ad Ascoli Piceno. Ha collaborato come scenografa per la pubblicità televisiva e per il cinema. Ha pubblicato: Corpo leggero, raccolta di poesie e disegni (Tracce) e il romanzo I dolci della fortuna (Sovera). È presente nelle antologie Melodie della terra di Plinio Perilli e La poesia delle Marche di Guido Garufi.

Marco Fulvi vive e lavora a Grottammare. Con la sua prima mostra, Rifacimenti, espone presso la Libreria Edison di Firenze, il palazzo dei Capitani di Ascoli Piceno e la Limonaia in Chianti. Segue la mostra/convegno Il Narcisismo presso la sala Kursal di Grottammare. Nel 2006 espone, nella mostra Banda 25, i ritratti della Banda Osiris, presso il palazzo della Regione di Mantova e presso la fondazione Bolaffi di Torino. Nel 2007 espone Polittico presso la Torre Bruciata di Teramo e, successivamente, presso la galleria Trastart di Roma e il gruppo Donatello di Firenze. Nel 2008 vince il premio Perla dell'Adriatico e partecipa alla mostra Arte a confronto nel palazzo Palffy di Bratislava.

giovedì 2 giugno 2011

CARMELO BENE, CONTRO IL CINEMA

[di Gianluca Pulsoni]


Minimum Fax ha ripubblicato da poco alcune delle più belle interviste di Carmelo Bene sul cinema in un volume dal titolo Carmelo Bene, contro il cinema, a cura di Emiliano Morreale (euro 15). L’iniziativa è importante per almeno due motivi: come gesto che recupera dall’oblio frammenti del pensiero straordinario di un genio, sempre troppo dimenticato e sempre troppo poco riconosciuto nella cultura nazionale per quello che è riuscito a rivelare e anticipare; come testimonianza importantissima che possa fungere, a suo modo, da solido contributo per rilanciare un discorso serio – quindi di ricerca – sul cinema stesso.

La selezione del materiale e la composizione dell’opera seguono un criterio cronologico, mostrando così alla lettura tanto le costanti dell’autore – negli esempi e nelle sue convinzioni tecnico-espressive – quanto le tracce del divenire di un pensiero critico, se non addirittura filosofico, sul cinema e in generale sui mondi legati all’immagine, così che con la progressiva lettura del volume si acquisisce facilmente la percezione di come sia cambiata nel tempo la lettura che Bene ha dato del mezzo. Oltre a ciò, un’altra qualità del libro che risalta all’occhio è quella di offrirci in modo organico parte di quella moltitudine di strumenti critici scoperti e utilizzati dal nostro nella sua direzione “contro”: difatti, se ci si pone più in profondità della dimensione polemica suggerita dal titolo e più in generale da alcune invarianti assunte nel tempo e nei media dalla postura beniana, si possono recuperare agilmente le principali basi costruttive del rapporto CB/cinema, componenti fondate su una idea di ricerca e su alcune linee-guida, che investirebbero tanto il linguaggio quanto il mondo del cinema stesso, soprattutto nella sua ricezione e interpretazione. Un esempio? Il concetto di “ambiguità scientifica”, qualcosa forse di non totalmente inedito nel suo vocabolario ma che egli riesce a spiegare icasticamente in una conversazione con A. Aprà e G. Menon del 1970, indicandolo come l’unico modo e metodo con cui l’esercizio critico può paradossalmente riuscire a dialogare con l’opera d’arte.

Carmelo Bene, contro il cinema rappresenterebbe allora un libro “teorico”, tale da fornire a chi lo legga chiavi e mezzi per comprendere non solo parte dell’opera dello stesso Bene ma anche il cinema di oggi, nonché studiare vie possibili per quello di domani e, con altre pubblicazioni in merito, come la conversazione sul calcio con E. Ghezzi, Discorso su due piedi (il calcio) e i passaggi specifici dedicati nella “Vita”, si direbbe che possa addirittura formare una ideale bibliografia del suo pensiero sull’argomento specifico, tanto da rendere a questo auspicabile e desiderabile vedere tale lista ancora più ricca, integrata magari da una pubblicazione “radicale” e che sembrerebbe oggi dimenticata: L’orecchio mancante. Speriamo che nel futuro possa essere possibile.

NEL DEMONE DEL FEMMINILE

Su Virus71 di C. Daino
[di Gianluca Pulsoni]

‹‹ Non sono in forma, non sono piena/ non sono più ti dico che ho smesso/ da tempo ti ho detto che ho smesso/ l’essere dove il corpo si trova/ ho smesso di abitare le mie ossa ››. Come una confessione privata e allo stesso tempo una sottile dichiarazione di poetica – ma in questo caso la poesia è davvero tutto – questi cinque fulminanti versi introducono al meglio, a nostro avviso, l’incontro che un lettore può fare con Chiara Daino e il suo libro Virus71 (Aìsara, Cagliari 2010, pp. 126, euro 10).

L’autrice in questione è una artista polimorfa – www.chiaradaino.it è il suo riferimento in rete dove trovare tutte le informazioni – capace di lavorare nella recitazione, nella musica, nella scrittura portando avanti un coraggioso e coltissimo discorso-lavoro sulla lingua italiana, in cui ricerca e gioco, necessità e invenzione, convivono con forte coesione.

In questo suo nuovo libro, ideale prosecuzione del precedente La Merca, continua la sua personale meditazione su due argomenti che dovrebbero essere sempre i “fondamentali” per ogni scrittore che si rispetti: il linguaggio e il proprio io.

Linguisticamente, Virus71 è un esercizio di “spaesamento”: qui il lirismo, benché espresso usando metriche e formule perfette e piene di perizia tecnica, viene continuamente mosso e “contagiato” da una grande varietà di tracce anti-poetiche: espressioni gergali, anatemi, manierismi, prestiti lessicali mutuati altrove, anacronismi nonsense, stilemi teatrali etc. Con inoltre un ritmo del dettato che rimane forsennato, tanto che si ha l’impressione che il libro piuttosto che scritto, sia anche se non soprattutto detto.

Ma questo lavoro sul linguaggio sarebbe nulla se non fosse centrale, nel libro, la “nudità” dell’io dell’autrice: corpo duro (“metallico”) ma umanamente fragilissimo, perché prezioso; coscienza che racconta e si racconta; voce che canta e si di-strugge, nei tormenti e nelle ferite, nel pensiero e nel sesso, nel rapporto col proprio inconscio e nel rapporto con l’altro, con l’uomo.

Virus71 si struttura infatti come un poemetto in cui la voce riporta al “presente”, come in un rituale, da un lato i propri compagni maschili di sesso e vita, dall’altro la propria intimità nella forma di una bambina saggia (‹‹ Dov’è quella bambina saggia, Key/ che giocò con la vita per tutti i Mille Anni,/ fronteggiando la neve minuta a petto nudo,/ bevendo, facendo segnali, senza curarsi di sé/ né del diaccio, non del desco, né del dolore? ››).

Da qui in poi inizierà un viaggio dentro i percorsi rievocati in cui diventa chiaro una specie di itinerario che l’io, preso dentro queste fitte trame, compie, ovvero un cammino verso uno stato di coscienza in cui tutto diventa progressivamente afferente alla corporeità, tutto possibile, tutto una promessa di liberazione; in balìa di quel sentimento già espresso dall’autrice di Cime Tempestose e teorizzato da Carmelo Bene per il suo teatro: il demone del femminile.

giovedì 2 luglio 2009

SULL'AUTOMA



SULL’AUTOMA

Appunti a margine del lavoro di Carlo Sini
L'uomo, la macchina, l'automa
Torino 2009
pp. 124
euro 14




Il movimento, il segnale e il segno



Carlo Sini è tra i più importanti e decisivi pensatori contemporanei. Attentissimo, nella mole immane della sua ricerca a focalizzare il pensiero su argomenti tanto problematici quanto ficcanti del contemporaneo. E la sua ultima pubblicazione, da questo punto di vista, non smentisce la regola.

È infatti uscito quest’anno, per Bollati Boringhieri, un suo volume, L’uomo, la macchina, l’automa: dal sottotitolo, “lavoro e conoscenza tra futuro prossimo e passato remoto”. Un libro importante, tanto per i temi trattati che per la sconcertante capacità si sintesi dello stesso Sini, nello scrivere una panoramica di un argomento che è la vertigine e la dannazione della società attuale post-fordista: l’automazione, la tecnologia, nel suo senso più originario e nella sua deriva giornaliera.

Scrive Carlo Sini, nel primo capitolo del libro: ‹‹in principio è il movimento, si potrebbe dire, ovvero ciò che fa differenza. Qualcosa si muove e muove qualcos’altro, e così via. È indifferente che quel qualcosa che si muove tu lo chiami Dio, materia, evoluzione ecc. È indifferente che si tratti della mano dell’uomo o del suo piede o ancora della sua cosiddetta volontà; è lo stesso che si tratti dell’acqua del torrente, del vento nella vallata o della ruota dei mulini, quei mulini che da lontano sembrano giganti che agitano le braccia. Indifferente è la qualità del principio, se il principio è il movimento, la sua azione; infatti tutto ciò che ne puoi dire e pensare viene dopo e per sua diretta conseguenza. In principio è l’azione ed è in virtù di questa azione che poi la si qualificherà, per esempio nella differenza del nome. Nel qualificare, l’azione è già in azione, in una sua figura, differenza o conseguenza in atto››.

Dal movimento poi scocca come “automatica” una proiezione retroflessa su ciò che tale energia “investe”. E qui il discorso di Sini inizia a farsi suggestivo, coinvolgente. Perché si passa dal movimento alla protesi. In maniera spiazzante.

Che cos’è difatti la “protesi”? La parola, nel suo essere polisemico, rimanda a due verbi greci, protithemi (mettere innanzi, presento, espongo, assegno) e prostithemi (pongo appresso, accosto, aggiungo, convengo, aderisco). E da qui in poi Sini svela la doppiezza del corpo…

Anzitutto nel senso che la sua azione piega il mondo ai suoi fini. Viene dal mondo, è mondo, ma anche usa il mondo […]. Ma, per altro verso, nell’agire il corpo discrimina l’azione del mezzo: è così che il corpo si fa doppio. Discrimina l’azione del mezzo, ma anche, proprio distinguendoli, in certo modo li unifica. Agendo il corpo distanzia da sé il mondo e insieme lo approssima. È mondo che si staglia nel mondo, che vi prende posto. Sebbene provenga dal mondo e non sia altro che mondo, il corpo, agendo, discrimina dal mondo lo strumento, il mezzo (e anche il contesto), rispetto al fine dell’azione.
[…] Il corpo in azione, potremmo concludere, fa di se stesso una ‹‹protesi››.


Giocoforza, ora, non si può non avere la “tentazione” di intersecare le riflessioni siniane sul tema, a alcune logiche “variazioni”. E lo spunto ce lo da l’antropologia, a proposito delle tecniche del corpo, voce tra le più importanti nel panorama della “grammatica” e delle “patografie” del corpo umano.

Il CORPO, sosteneva Mauss (1936), è il primo e più naturale degli utensili umani. A partire da questa considerazione egli dava avvio allo studio del carattere culturalmente determinato e socialmente appreso dei movimenti (nuoto, marcia ecc.) e delle posture corporee, sottolineandole sia l’intrinseca variabilità etnografica, sia l’evolversi nel corso del CICLO DI VITA individuale.
Le tecniche del corpo possono essere qualificate con due attributi: “tradizionali” ed “efficaci”. E, inoltre, i movimenti possono comunicare significati (COMUNICAZIONE, SIGNIFICATO) senza che siano presenti quelle funzioni di codificazione e simbolizzazione che precedono il LINGUAGGIO e per comprenderli non è sufficiente sapere di che cosa costituiscono il SEGNO. Spesso essi dicono più delle parole, e nel contesto del RITUALE permettono di trascendere le distinzioni che dominano nella vita quotidiana. Bourdieu (1977) individua una stretta relazione fra l’ordine produttivo, tecnico e sociale e le posture corporee. Si assiste infatti a una sorta di somatizzazione della CULTURA, grazie alla quale le fondamentali opposizioni da cui essa risulta costituita vengono affidate in forma abbreviata alla MEMORIA dei corpi.


Come legge invece Sini la triangolazione “corpo”, “segno”, “memoria”? Certamente, da un punto di vista, semiologico, memore della lezione "praticata" di C. S. Peirce, che vede il ruolo fondamentale come medio aristotelico del segno stesso. Difatti, ‹‹il segnale non significa; il segnale soltanto sostituisce senza ‹‹rappresentare››. Per esempio, il ringhio di un cane segnala a un altro cane la sua ostilità. Il secondo cane, diceva George Herbert Mead, non è per questo in grado di pensare ‹‹quel cane mi è ostile››; il secondo cane prende il ringhio semplicemente come un segnale che lo induce a una reazione di paura e di fuga; oppure a una reazione aggressiva. C’è un accomodamento reciproco nell’azione dei due cani (aggredire, fuggire, inseguire ecc.), ma nessuna ‹‹comprensione›› di ‹‹significati››. Il segno invece veicola significati che suscitano abiti di risposta ‹‹comprensivi›› (non solo agisco, ma ‹‹so›› cosa tu intendi e cosa io faccio rispondendo). Ma che cos’è un ‹‹significato››? Utilizziamo in proposito la soluzione proposta da Peirce (l’unica a mio avviso davvero convincente): significato è ciò che caratterizza l’ ‹‹abito di risposta››, inteso come ‹‹ciò che si è pronti a fare in comune››. […] La definizione poggia su quell’ ‹‹in comune›› (ciò che si è pronti a fare in comune). Ora, anche la macchina è ‹‹pronta a fare››; a suo modo è dotata di abiti di risposta; al suono toc apre lo sportello di destra e fa cadere un numero pari di biglie ecc. Non ha però modo né di spiegare né di spiegarsi che cosa fa, non può renderne conto né rendersene conto, non può dire: ‹‹ma perché sono pari…››. Che lo fa è tutto; non può però aggiungerne la ragione: perché sono pari, appunto››.

Sini a questo punto è chiaro, stabilendo che sia solo il segno ha implicare una “comunità linguistica” (il segno, non una lingua, qualsiasi lingua – concetto più vago di quel che possa sembrare, se dissociato dai rispettivi fenomeni etnici e storici). Il gesto perciò, essendo dello statuto del “segnale”; indica. Mentre il segno significa. E da questo aspetto pare allora chiaro come sia una immagine, che una parola, possono essere nello statuto del segno in quanto, seppur nelle diverse loro modalità, sono significanti.

In una comunità linguistica si è pronti a fare qualcosa in comune in base a risposte retroflesse, cioè in base a risposte che hanno come referente lo stesso locutore (il quale proprio per questo è un locutore, vale a dire che egli è in grado di dire contemporaneamente a se stesso ciò che significa agli altri). La condivisione del fare è accompagnata da una condivisione del sapere (ciò che si fa). È in tal modo che le risposte frequentano significati, hanno significato, sono significative. Possono infatti spiegarsi, dar conto, dire perché.

E, aggiungiamo noi con umiltà, possono “lavorare” sulla piega, sul ri-piegamento, sul dis-piegamento del senso. E dei sensi.

Gianluca Pulsoni

lunedì 11 maggio 2009

NEL SEGNO DI SALVADOR

Segnalo, avec jolie...
G. P.



“Io non sono pazzo”

di Pier Mario Fasanotti e Roberta Scorranese
Il Saggiatore, 2004, euro 18


L’unica differenza tra me e un pazzo, è che io non sono pazzo.”

Salvador Dalí


Deliri psichedelici di oniriche follie, echi di memorie reali e costruite dall’eccentricità del genio.

Dal saggio biografico di Fasanotti e Scorranese si evincono le innumerevoli passioni di Dalí: pittura, teatro, moda, cinema. In tutte le espressioni artistiche diluiva i suoi sogni, i suoi picchi di follia. Un happening giornaliero scandiva le ore del suo molle orologio.

Creatore del metodo “paranoico-critico”, interpretazione daliniana del surrealismo, attraverso cui il pittore trasferisce su tela il proprio inconscio nel suo momento di delirio paranoico, Dalí cercò sempre di "dilatare lo sguardo col potere dell’immaginazione per vedere meglio la realtà e oltre la realtà".

"Il sogno restava il grande vocabolario del surrealismo e il delirio il più splendido strumento d’espressione poetica (...) quando si è surrealisti, bisogna essere coerenti: ogni tabù è proibito."

Non si può certo parlare di tabù quando si ricordano le eccentriche feste che organizzava, sempre circondato dalla sua “corte”, illustri intellettuali internazionali, con cui s’intratteneva con numeri shockanti, d’effetto e vouyeristici.

La sua vita, scandita tra eccessi e stranezze, fu attraversata da grandi personaggi del calibro di Picasso, che definiva suo mentore ma non ne condivideva l’arte e nemmeno l’orientamento politico, Garcia Lorca, grande amico e forse amante, Buñuel, con cui condivise alcuni esperimenti cinematografici, e tanti altri.

In tutti i suoi esperimenti che toccarono la pittura, il cinema, i balletti, la moda e l’invenzione di strani oggetti, era sempre riconoscibile la sua ossessione per i sogni, per l’inconscio. Lì, diluiva i suoi colori e dentro si sé intingeva il pennello creativo, credendo che "solo attraverso il sogno é possibile vedere il mondo".

Un libro labirintico, un viaggio nella vita di un artista che ha fatto parlare di sé per oltre venti anni. La penna di Fasanotti e Scorranese scivola sinuosa e chiara tra le pagine, testi intrisi di citazioni, fili di Arianna tratti dal diario del genio ed incorniciati da un chiaro quadro storico di riferimento.

Lo si definiva pazzo, lo si definiva genio, ma nei suoi momenti di lucidità/debolezza sosteneva che: "La pubblicità è essenziale al mio personaggio: al mondo ci sono troppi pittori, e anche bravi (...) Di conseguenza io sono uno studioso delle leggi della pubblicità, la quale è direttamente proporzionale al successo. Sentir dire che io sono pazzo è per me causa di infinta delizia". Una maschera allora? Un personaggio fittizio? Un burattino alla mercé della moglie “cacciatrice di assegni”? O potrebbe essere stato solo un semplice uomo avvolto dal mantello della solitudine e dell’inadeguatezza intellettuale, un genio incompreso, che cercava di sopperire a tale disagio attraverso la sua eccentricità artistica?

Un enigma che resterà irrisolto, proprio come Dalí avrebbe voluto.

Liliana Navarra





lunedì 20 aprile 2009

(CATTIVE) MEMORIE DA SOTTOTERRA...






Antonio Moresco
"Lettere a nessuno"
Einaudi, Torino 2008, pp. 728

[di Maurizio Inchingoli]



Che cos'è l'io? Che cos'è la voce? Sono la stessa cosa? Perchè - ad esempio - di certi scrittori mi arriva l'io ma non mi arriva la voce? A volte mi sembra che anche quella cosa che è stata chiamata "io" faccia diaframma alla voce, che parte da zone più profonde e allagate, oltre il piccolo gioco dell'io e del suo contrario. Che per dare spazio alla voce occorra separarsi anche da quel diaframma interpretativo che è stato chiamato "io" per entrare in un'intimità più profonda e senza ritorno. Non per andare verso l'altrettanto artificiale mistificazione del mondo visibile intellettualizzato, ma per infilare come una freccia, ancora, ancora, ancora la cruna della faglia sempre sul punto di chiudersi.

Alfredino Rampi sotto terra, a un lombrico:
- Non posso diventare un lombrico anch'io?
- Mah, non saprei, ci vuole del tempo...
- Ah, si, tu ci hai messo tanto?
- Sì.
- Quanto ci hai messo?
- Be', non saprei... qualche milione di anni.



Una scoperta, una sorprendente discesa nel più recondito anfratto della conoscenza. Come quando si vede la luce per la prima volta, come i lombrichi che lavorano incessantemente la terra, o si torna a vivere una vita degna di essere definita tale. Dopo essere stato per molto, troppo tempo sotto terra, o sott'acqua, come in apnea, Antonio Moresco torna a respirare - e noi, forse, insieme a lui - a tirare fuori la testa, con gli schizzi dell'acqua che ci piovono addosso copiosi e freddi, come a svelare e squarciare definitivamente il velo di ipocrisia che aleggiava certamente su una larga parte dell'industria culturale italiana con cui l'incazzato autore, originario di Mantova, ha dovuto combattere strenuamente.
Incipit:

"Mi sono svegliato per non morire."

Ci racconta nel farsi iniziale di queste disperate ma dignitose lettere a nessuno; titolo affascinante, criptico, volutamente arricciato su sè stesso, come a voler ribadire una paradossale ed estranea lotta contro i mulini a vento di donchisciottesca memoria. Scrivere a sè stessi, lucidamente, per ricordarsi quello che si è, perchè l'interlocutore è quasi sempre assente, muto, lontano. In questo caso anche, ed a volte ignaro quasi della lotta per la vita di Moresco, ma tutto sommato privatamente conscio e complice di una programmatica guerra a braccia aperte per non far affiorare il talento della scrittura visiva e concentrica dell'autore di "Canti del Caos" e de "La Cipolla", così ben metaforizzato nella citazione della agghiacciante favola horror dei fratelli Andersen, nella quale un bambino sepolto che torna a vivere tenta invano col braccino di rivedere la luce, ma lo spingono a rimanere sottoterra, e muore inevitabilmente soffocato.
Il tentativo di "Lettere a nessuno" è quello, riuscito felicemente, di segnare una lunga traiettoria, mettere un po' d'ordine tra la memoria celata e tutta personale del nostro, nell'attraversamento di una fase storica di fine secolo/millennio travagliata ed altamente problematica, che Moresco descrive con una precisione spaventosa. Citando episodi al limite dell'incredibile, come gli omertosi comportamenti tenuti da parte di gente che dovrebbe essere invece per prima interessata al talento ed alla scoperta di voci fuori dal coro. Ma evidentemente questo è solo uno sporco equivoco, e Moresco non lo nasconde, anzi ne rafforza coraggiosamente la teoria, mettendo alla luce uno scenario meschino a volte, incredibile quasi ripetiamo, di fatto atterrito dalla grandezza autoriale e morale, sotterranea e testimoniale dell'autore lombardo. Fa paura che una persona che ha conosciuto da dentro il movimento intellettuale, ma anche operaio e di lotta degli anni '70 e '80, possa diventare col tempo un validissimo scrittore senza peli sulla lingua, un'autore osceno, nel senso beniano del termine di o-skenè, fuori scena, fuori dalle regole - ma solo quelle stabilite dallo status quo ufficiale - che parla senza peli sulla lingua dei dietro le quinte di quel periodo travagliato e mette a nudo, letteralmente, le dinamiche di acquisto del potere da subito dominate da alcuni dei protagonisti di queste illuminanti e tristi vicende di vita. Tanti sarebbero gli episodi da citare, lo ripetiamo, ma non è solo questo quello che conta. L'importante è riconoscere a Moresco la statura autoriale che gli si confà, e con tutti gli onori del caso, senza arrivare a premi di facciata, ma mettendo in risalto la bravura e la qualità di scrittura che è la caratteristica primaria di uno dei più importanti scrittori della fine del '900 europeo insieme a pochi altri degni di questo immaginario Pantheon. Inutile e sciocco perciò fare dei nomi, la cosa più importante è che al momento uno come Moresco ci stia tutto, certamente non imbalsamato e celebrato come ad un funerale, ma semplicemente e senza ipocrisie, per soddisfare il suo ego, ed il nostro, colpito da queste settecento vitali pagine che fungono da spartiacque per la cultura letteraria italiana tutta. Un giusto riconoscimento ad una persona che ha conosciuto la fame, la sofferenza, il dolore, e se ne è affrancato con la sola forza di volontà e con l'aiuto di pochissimi esseri umani ancora in grado di distinguere la terra dalla merda, in un difficilissimo lavoro di indubbio coraggio intellettuale. In una nazione piccola come il belpaese, definito in questo lungo resoconto nella maniera più complessa e semplice allo stesso tempo che si potesse mai immaginare.

"L'Italia è un paese frivolo e nello stesso tempo protervo. Esso non pare avere né il dono della vera leggerezza né quello della profondità."

E sono riflessioni amare come queste che ci fanno avvicinare con un sorriso complice alle storie di questo manovale della scrittura, armato di carta e penna, come un muratore della cazzuola e del metro per prendere le misure a questa società tanto vuota e dell'apparenza spinta alle estreme, mortali conseguenze; una società muta, sorda, senza memoria, capace di navigare nella merda come un pupazzo con le narici cancellate dal tempo, assuefatto quasi irrimediabilmente all'olezzo di cui si inebria senza sosta, nell'attesa di fantomatici tempi migliori che mai arriveranno. E' arrivato quindi il momento del qui e ora ci avverte Moresco: basta aspettare infausti eventi per risollevare il paese, basta sperare in un messia qualsiasi, capace di vendere lavatrici come pure di acquistare case editrici e propinarci libri o programmi finto culturali. L'industria culturale invece, come la chiama efficacemente Moresco, ha bisogno di una terapia d'urto più rumorosa di un terremoto, in un impeto di vitalità che mal si addice alla pigrizia mentale di tanti advisor delle case editrici subito pronte a codificare, catalogare e inondare le teste pensanti, come una mano che ti battezza a morto e ti tiene in vita dall'alto del suo piccolo scranno. Siamo quasi come in un laghetto di allevamento con i girini che aspettano di crescere, ma la selezione controllata da pochi non permette a tutti di esprimere la propria personale visione delle cose. Troppo pericolosa, troppo insinuante la voce e lo status di uomo di Antonio Moresco. Semmai attuiamo una strategia silenziosa e logorante: prendiamolo pure per il culo, facciamogli credere che possa essere uno dei nostri, poi lo affoghiamo, solo per il gusto di vederlo agonizzante. Peccato che il suddetto sappia benissimo di quella cosa che si chiama lotta per la sopravvivenza, e quindi è impossibile vederlo crepare. La lotta per essere è di pochi a questo mondo; tutti gli altri possono stare sereni, non soffriranno, potranno dormire sonni tranquilli, nella bambagia, ma con una caratteristica che li segnerà per tutta la vita: la mancanza di dignità, e soprattutto di coglioni. Le amebe e i girini rimarranno tali; i ranocchi invece, noncuranti dell'allevatore, salteranno quando meno ve lo aspettate, il fosso e, girandosi verso di loro gli faranno marameo. Badate bene, non è una gara questa: è soltanto la sacrosanta lotta per esprimere la bellezza dell'uomo, perchè - credetemi - di brutture e merda, di fogne, ne è già traboccante il mondo... E Moresco non ha certamente bisogno di difensori d'ufficio, ma deve però sapere che al mondo c'è ancora qualcuno che non ci stà a farsi mettere sotto per quattro soldi in più, perchè si può vivere stoicamente in maniera decente e dignitosa anche esprimendo le proprie opinioni senza passare per squallidi programmi in prima serata a consigliare libri per le feste di Natale.
Grazie Antonio per queste pagine necessarie. Grazie anche a nome di tutti quegli invertebrati che popolano numerosi questa triste terra. Un giorno, forse, anche loro te ne saranno grati, quando ammetteranno di essere stati solo delle merdacce di fantozziana memoria. Chi se ne frega di quello che pensano i pensatori dell'ufficialità culturale: a noi interessa essere solo vivi, gli zombie hanno già fortemente colonizzato ed infettato il mondo, ce lo diceva chiaramente tanti anni fa un certo George Romero nei suoi un po' ingenui ma strepitosi films. A noi dunque il compito di disinfestare e bonificare il terreno, per renderlo ancora fertile. Queste lettere a nessuno come il testamento di una salvifica cultura della giustezza e della pacificazione; a futura memoria...

"L'umiltà, la radicalità, la fedeltà, la tenuta, la pazienza, lo spirito di sacrificio, l'intransigenza, la vera spregiudicatezza e passione, la capacità di soffrire e di dare frutto, di rischiare tutto anche a costo di perdere tutto."

Parole sante, finalmente...