mercoledì 4 febbraio 2009

ANDREA PONSO SUL CASO ENGLARO

Andrea Ponso, poeta e filosofo, studioso di teologia, pubblica sul proprio spazio Facebook un intervento a proposito del dibattito recente sul caso Englaro, che qui ripropongo.
Aggiungo, in calce, un estratto da un intervento del 1974 di Pier Paolo Pasolini dal titolo "La Chiesa, i peni e le vagine", ora in "Scritti corsari".

Buone riflessioni,
Davide Nota

*

ACCETTARE IL VIVENTE, ACCETTARE IL MORENTE?

Accettare il vivente, la sua incarnazione: significa naturalmente accettare anche la morte e la finitezza. È quindi anche l’accettazione di una forma, di una forma-di-vita di contro alla nuda vita. Niente è politicamente più attuale: niente è più sepolto e tumulato dalla pletora di risposte fornite senza risparmio alcuno dall’attualità, che con l’attuale, in verità, non ha niente a che spartire. Ma, allora, si deve porre seriamente anche la problematica dell’accettazione non solo del vivente, ma anche di quella figura che negli ultimi anni si presenta, naturalmente inestricabilmente legata a quella del vivente, con sempre nuove denominazioni e delimitazioni, vale a dire quella del “morente”. Puntualmente ci si ripropone questo nodo apparentemente inestricabile, anche in questi giorni, dopo il vergognoso caso di Piergiorgio Welby - vergognoso per chi si ritiene cattolico e cristiano, ma anche per gli altri, per una strumentalizzazione mediatica priva di tatto e incapace di declinarne la complessità - con la stessa urgenza che si declina senza soluzione di continuità in un profluvio di risposte e di troppo semplicistiche prese di posizione. Posizioni che sono immobili, date, quindi già di per sé morte - di contro alla complessità di eventi che meriterebbero ben altro rilievo e che dovrebbero essere al centro di una politica della vita e non di una politica sulla vita: un centro che si è perso, una mediazione che non abita più le stanze dei parlamenti e dei giornali e che si gioca quindi pericolosamente altrove, visto che l’attuale sistema politico non può nemmeno più essere considerato della rappresentanza ma piuttosto di una nefasta rappresentazione del potere stesso, della sua autoreferenzialità, del suo rispecchiamento, della sua auto-fondazione assolutamente priva di rapporti con l’esistente se non in termini, appunto, di gestione del vivente e di potere sulla vita.Morte e vita si ricongiungono? In quali modalità? Se la morte si ricongiunge alla vita solo per renderla “uccidibile e insacrificabile”, come nella figura giuridica romana del bando sovrano, allora quello che ne rimane è una nuda vita, staccata dalle sue forme, dalle sue potenze/potenzialità. E in questo caso, qualsiasi tipo di “difesa” risulta sospetta, anche quella proposta dalla chiesa che pericolosamente le si avvicina, quando invece la figura incarnata di Cristo potrebbe appunto essere letta come il tentativo di unione di nuda vita e forme-di-vita, di creaturalità e potenza/possibilità, proprio a partire dallo scandalo della croce, dove il potere scatena la sua forza giuridica (di giudizio) e linearizzante pretendendo che quel corpo inchiodato sia solamente nuda biologia. “Chi vorrà salvare la propria vita la perderà”. Come ci si pone davanti a questo problema? Con quali strumenti e soprattutto con quale consapevolezza? Riusciamo davvero nell’inaudita impresa di vedere attaccato alla macchina e al respiratore artificiale il corpo scandaloso di Cristo? Lo “vorremmo ancora in vita”? Ne vorremmo disporre? Giustamente Chauvet ha scritto che “chi fa morire la mancanza di Cristo rifà di lui un cadavere”, cioè un oggetto disponibile, in nostro potere: cosa che può succedere anche con l’uomo.Mi pare che nelle recenti vicende che rendono palesi tali problematiche, e nascosto nelle strumentalizzazioni e nelle lunghe discussioni, spesso sterili, si nasconda qualcosa di centrale e poco indagato. La difesa della vita, da parte della chiesa e di certo mondo politico, non è forse, in questo caso, un palese rifiuto della morte in quanto parte fondamentale e irrinunciabile della vita? Non si applica anche in questo caso una esclusione di tipo immunitario del non-vivente dai caratteri pericolosamente tanatopolitici? O, ancora, non si riduce la morte al recinto impoverito della nuda vita? Se la vita è in mano a Dio, l’accanimento terapeutico non rischia sempre di diventare un rifiuto o una distorsione politicamente orientata della creaturalità e di quella finitezza che proprio il Creatore ci ha donato con la nascita e che siamo tenuti a rispettare e ad amare in quanto tale? È qui che si dovrebbe inserire la riflessione: una riflessione che non può non partire da una analisi, stringente e per niente inattuale, sulla tecnica. È la tecnica, la cura, che si sostituisce a Dio? non ci siamo già posti contro il Divino nel momento in cui vogliamo a tutti i costi “mantenere in vita”, disporre del vivente? Il dono della vita, credo, ci obbliga, attraverso il suo munus, anche nei confronti della morte e della finitezza, ma ci obbliga in una maniera e in un rapporto forse ancora impensati. Non si tratta di rifiutare la tecnica, si tratta piuttosto di leggerne la complessità ricongiungendola al sistema della vita e delle sue forme: essa stessa, infatti, fa parte di queste forme. Accettare un dono, mi pare, è anche questo, e non lo sappiamo più fare. Non si tratta di un rifiuto del dolore, di un rifiuto del dono della vita o delle nuove possibilità offerte dalla scienza. Forse, in casi come questo, è proprio il contrario.Le troppe risposte sono perfettamente funzionali ad un mondo che ha perso ogni capacità di ripensare i fondamenti (anche e soprattutto quelli della tecnica), che ha dimenticato che il pensiero è una pratica e non la costruzione di una ideologia o di un insieme morale di leggi, ad un mondo che ha fatto della verità e di Dio cose non più essenziali ma essenzialiste, sia in chi crede che in chi non crede. Ci sono troppe risposte, non troppe domande. E le troppe risposte sono sempre anche un modo per fare zittire la domanda, per bloccare la pratica del suo interrogativo, per scongiurare la presenza vivente che ci sta davanti, per troncare ogni rapporto, per non ascoltare la presenza concreta e incarnata che ci interroga.

Andrea Ponso

*

[...] Ed ecco l'orrore. La Carità, che è il più alto dei sentimenti evangelici, e l'unico autonomo (si può dare Carità senza Fede e Speranza: ma senza Carità, Fede e Speranza possono essere anche mostruose), viene qui degradata a pura misura pragmatica, di un qualunquismo e di un cinismo addirittura scandalosi. La Carità pare non servire a niente altro che a scoprire gli uomini nella loro più squallida e atroce nudità di creature: senza né perdonarli né capirli, dopo averli così crudelmente scoperti. Il pessimismo verso l'uomo terreno è troppo totale per consentire l'empito del perdono e della comprensione. Esso getta un'indistinta luce plumbea su tutto. E non vedo niente di meno religioso, anzi, di più ripugnante, di questo.

Pier Paolo Pasolini

2 commenti:

  1. Non si parla più di Eluana,
    almeno qui nella sua città natale
    tra i monti rapidi e il Lario
    si fanno acquisti di merce varia
    dai più consigliata.
    Ho intravisto per caso il padre
    stringere tra le mani un foglio
    di carta legale. Andava un poco
    dritto, verso il tribunale,
    curandosi le spalle, si voltava.
    Che magra figura per me
    che l’osservavo, avrei voluto fermarlo,
    mostrargli la mia comprensione,
    dire del civile dolore,
    falso per questo, poiché forse
    noi ne possiamo ragionare solo
    per quel certo, sentito dire
    in valenti salottini televisivi.
    Lei vive liquida un tempo,
    in una stanza accanto alla mensa
    dei lavoratori delle Acli.

    L.S.

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  2. Non scrivo poesie, non so nulla di filosofia e non voglio saperne di politica..
    Sono solo un'infermiera che giorno e notte vive accanto a tanti e tante "ELUANA ENGLARO"..
    Li accudisco, li curo o almeno ci provo.. perchè non è facile. Non è facile guardarli negli occhi ed immaginarli vivi. Sì, perchè la vita non è solo bere e mangiare come facilmente viene detto nei salotti televisivi o scritto sui giornali.
    Tanti hanno detto: "la vita è un diritto di tutti"
    Io dico: "Una vita dignitosa è un diritto di tutti"
    Quello che scrivo non è poetico, ma sicuramente reale!
    I tanti e le tante Eluana Englaro non hanno una vita dignitosa perchè questa società non ha il tempo di fermarsi, non ha risorse da SPENDERE per loro.
    Tante volte ho sentito dire: "bisogna garantire la vita, non possiamo negare acqua e cibo"
    Ma questi corpi non necessitano solo di acqua e cibo.
    Ed a volte non è garantito neanche quello.
    Io sono cattolica. A volte prego per queste PERSONE, a volte prego per i loro cari, a volte prego per me stessa. Forse per chiedere perdono dei miei pensieri.
    Mentre mi prendo cura di loro li osservo, cerco di avvertire la loro presenza, un loro segnale. Ma poi ho quasi paura di scoprirli.
    Potrei scivere ancora e ancora, delle mille sensazioni che provo..
    Ma voglio fermarmi quì.

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