giovedì 23 aprile 2009

FRANCO VOLPI, IN MEMORIAM

Riportiamo qui un articolo apparso su Il Giornale di Vicenza (http://www.ilgiornaledivicenza.it/) del 16 Aprile 2009. Più che un articolo, un ricordo. Una memoria di Franco Volpi: scritta a caldo, dopo la triste notizia della sua morte.
La firma di questo ricordo vivo e penetrante, di Volpi come persona, intellettuale e filosofo, è quella di un altro filosofo, suo sodale e amico: Alfonso Cariolato. Che qui ringraziamo calorosamente per la segnalazione del pezzo e il regalo che ci fa nel far condividere, a più persone possibili, le sue parole.

G. P.



© Indira Restrepo

Non so se riuscirò mai a credere veramente che Franco Volpi non c’è più. Tutto in lui testimoniava per la vita; non solo la sua profonda intelligenza, ma prima ancora i gesti, lo sguardo, l’ammiccare dei suoi occhi. Entrava in una stanza e qualcosa accadeva. Non si poteva rimanere indifferenti, neanche a volerlo. Franco parlava, e ci si sentiva spinti a prendere la parola come per effetto di un’amicale ingiunzione: “Parla anche tu!”, “Parliamo!”. La parola condivisa – anche la più innocua – operava così una sorta di equilibrio, di bilanciamento, di fragile cucitura. Certo provvisoria, parziale, ma mai indifferente. Franco Volpi aveva una straordinaria familiarità con la parola. Era sorprendente sentirlo parlare nelle diverse lingue che conosceva, perché ogni volta sembrava egli stesso catturato dalla peculiarità del suono, del ritmo, della cadenza di ciascuna lingua. Parlare, si sa, è anche sempre essere parlati; il linguaggio si fa incontro dappertutto, come scrive Heidegger, e noi non ne siamo solo attraversati, ma – ben di più – anticipati, spinti fuori di noi, aperti irrimediabilmente al mondo. Questa sensibilità nei confronti della parola ha guidato tutti i lavori di Volpi, e costituisce forse la cifra caratteristica della sua opera, dalle traduzioni mirabilmente puntuali soprattutto, ma non solo, di fondamentali testi heideggeriani (da Segnavia ai Contributi alla filosofia, passando per il Nietzsche), agli imprescindibili studi sulla presenza di Aristotele in Heidegger, e ancora al lavoro sul nichilismo, fino alle edizioni di Schopenhauer e Carl Schmitt. Per Volpi la parola è logos, e dunque espressione del pensiero, ma anche sonorità vocale, risonanza, insomma ciò che prima della filosofia si designava con il termine epos o, per meglio dire, quello che ne rimane nell’epoca del disincanto. In lui la parola dei filosofi manteneva una sorta di fascinazione, per questo le sue lezioni all’università o altrove colpivano immancabilmente l’ascoltatore: accanto alla precisione e all’esattezza davvero uniche si percepiva un respiro più ampio, e un’ammirazione non solo per ciò che diceva il pensatore preso in esame, ma soprattutto per come lo diceva.
La stessa affinità con la parola, lo rendeva pronto a percepire anche il rischio che ad essa sempre si accompagna: il suo dilatarsi smisurato, lo scadere a non senso. Ma è esattamente qui che si misura la finitezza, e in questo spazio ci si deve muovere: sul sottile crinale tra il farsi del senso e l’insensatezza. E la filosofia non può essere altro che un sapere finito. Così la storia della filosofia che Franco Volpi ci ha insegnato – anche attraverso il Großes Werklexikon der Philosophie da lui curato, di cui esiste anche un’edizione spagnola in tre volumi –, assumeva una tonalità particolare. Lasciato da parte ogni storicismo (che non fosse, forse, quello ontologico di derivazione heideggeriana), restava appunto la storia che il nichilismo aveva eroso nella sua pretesa di totalità, ma che pur tuttavia permaneva come un insieme sterminato di autori, di pensieri, di questioni che, nell’assoluta precarietà dell’esistere, manteneva forse l’ultima singolare apparenza di compiutezza. Naturalmente, solo di apparenza si tratta. E Volpi lo sapeva bene. E tuttavia, come diceva lo scrittore e pensatore colombiano che aveva riscoperto e che negli ultimi tempi sentiva assai vicino, Nicolás Gómez Dávila, il lavoro dello storico della filosofia può condurre a riscoprire quelle ombre tenui che seducono in modo inconfondibile e puro attraverso il tempo. Vi era qualcosa di kantiano nel modo di affrontare la storia della filosofia da parte di Volpi: la storia è un’illusione, ma un’illusione feconda, e d’altra parte “il pensiero” è un’attività “così gratificante da farci dimenticare la stessa mediocrità dei nostri pensieri”. Così scrive Volpi nella prefazione ad un testo di Gómez Dávila uscito per Adelphi nel 2007, intitolato Tra poche parole. Di questo breve saggio disse un giorno, rispondendo con un sorriso a una domanda di una studentessa, che conteneva, in filigrana, la sua filosofia. In effetti, sul filo del commento al testo gomezdaviliano, sfilano i concetti chiave su cui insisterà tutto il lavoro di Volpi: la vertigine del pensiero, la priorità della filosofia pratica (e Franco – lo dico incidentalmente, ma non smetterò di essergli grato per questo – incitava sempre, tutti, a fare, a scrivere, a tradurre…), la centralità della vita vissuta, il rapporto tra la carne, la vita e l’esercizio dell’intelligenza in un mondo dove ormai ogni trascendenza appare depotenziata e inerte. E questo Volpi l’ha sempre cercato nel confronto con una miriade impressionante di autori – sembrava aver letto tutto, sapere tutto. Non è un’iperbole, ma semplicemente quello che tutti noi sentivamo ascoltandolo. Perché questo era il suo modo di intendere la storia della filosofia: dare voci alle voci, isolare nel rumore bianco della storia la singolarità di un pensiero, di una parola proferita, di un gesto filosofico. E fra tutte quelle voci che rifluivano in ogni nostra discussione come onde chiare di un mare oscuro senza sponde né direzioni predefinite, io ne sentivo risuonare un’altra, ogni volta più forte, ogni volta più chiara. La tua, Franco.

Alfonso Cariolato
(da Il Giornale di Vicenza, 16 aprile 2009)

2 commenti:

  1. un ricordo mirabile, che descrive come meglio non si potrebbe, l'ineguagliabile caratura umana ed intellettuale di questo grande "maestro" di filosofia, troppo precocemente scomparso.

    Antonio Cardiello

    RispondiElimina
  2. Grazie Antonio del commento.
    Fa piacere che tu abbia apprezzato. Il ricordo di Alfonso Cariolato, gran filosofo e amico di Volpi - che era un suo interlocutore - è un bel segno di rispetto che capita proprio nei casi in cui parliamo, osserviamo, partecipiamo a esperienze di lavoro importanti. Come, in questo caso, quelle che ci ha lasciato un Franco Volpi.

    Gianluca

    RispondiElimina