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venerdì 2 dicembre 2011

PRIMO COMMENTO AL BRANO DI THOMAS PIKETTY

In seguito alla pubblicazione su "La Gru" del brano "Rifondiamo (presto) il progetto europeo" del Professor Thomas Piketty, tradotto dal francese da Luigi-Alberto Sanchi, abbiamo ricevuto, tra i molti, due commenti più articolati da parte del Prof. Dario Giugliano di Napoli e dell'economista Domenico Moro, che abbiamo deciso di pubblicare come parte integrante di questo dibattito sulla "Crisi europea". Iniziamo oggi con la lettera del Prof. Dario Giugliano.

Carissimo Luigi,
ti ringrazio tanto per l'invio, che ho letto con interesse. Dunque, pure io come te non concordo su nulla, in buona sostanza, di quanto scritto nell'articolo, che tra l'altro contiene pure diverse imprecisioni (come quando sostiene, per esempio, che la banca centrale statunitense sarebbe sotto il controllo della politica: è esattamente il contrario. Del resto, come potrebbe una s.p.a., quale la Riserva federale è, essere sotto il controllo della politica, in una condizione di mercato liberistico?), ma, sempre come te, sono d'accodo sul fatto che esso sollevi una questione interessante: il rapporto tra ricchezza "reale" (anche su questo termine ci sarebbe da discutere) e strategie finanziarie.
Che dire? A me pare che la questione della NATO, come la imposti tu sia, allo stesso tempo, corretta ma rischiosa, in quanto può prestare il fianco a una obiezione di fondo. Partiamo da un dato abbastanza evidente: l'Europa (la zona euro), al momento è sotto attacco. Quello che è accaduto negli anni scorsi, fino a poche settimane fa (vedi il caso “Libia” all'interno della farsa dell'ondata delle rivolte in nord Africa), e che sta ancora accadendo nel mondo, da un punto di vista (del tentativo) di ridefinizione degli equilibri geopolitici (che in realtà si cerca, da parte statunitense, di consolidare da un punto di vista egemonico unilaterale), tende a confermarlo. Io sarei per leggere questo attacco finanziario alla cosiddetta euro-zona nell'ottica di questi stessi tentativi statunitensi di definizione e consolidamento di equilibri. Un'Europa (una zona euro) forte non va bene agli U.S.A. - che poi, tra gli stessi entusiasti dell'euro, nella stragrande maggioranza, ci siano personaggi assolutamente asserviti ai diktat che provengono da oltre Atlantico pure è elemento interessante e che andrebbe discusso. Altro dato evidente è che, così com'è (nell'articolo si fa cenno alla necessità di un nuovo accordo sulla moneta unica), l'euro è stato un disastro, esattamente perché è un disastro l'idea di fondo che governa le politiche monetarie della maggior parte dei paesi del mondo, in cui si dà per scontato che le decisioni in materia di gestione dei flussi monetari debba essere indipendente dalla politica. (Mi torna alla mente uno scritto di E. Che Guevara, quando era ministro dell'industria all'indomani della rivoluzione, pubblicato su "Cuba Socialista" n. 31 marzo 1964, in polemica con il presidente della banca centrale, Marcelo Fernàndez, il quale cercava di fare quello che ogni banchiere sa fare, vedendosi così messo nero su bianco dal Che: "Il termine autonomia economica, in senso assoluto, collegato con quello di indipendenza economica relativa, che ne sarebbe uno dei principi, è una costruzione grammaticale di cui non riusciamo a capire il contenuto" - perché il punto di fondo è che "la banca, al di fuori dello Stato, non ha NULLA, in lettere maiuscole, oltre alla finzione giuridica della legge che le assegna un patrimonio"). E in una situazione politica, nei fatti sorta per fare da paravento a una politica monetaria, già decisa altrove, nulla può sorgere negli interessi dei cosiddetti cittadini. Allo stesso modo, la NATO non è altro che il braccio armato di una organizzazione finanziaria di cui la cosiddetta confederazione di stati americana costituisce solo il paravento (e la figura, sempre più patetica, di un Obama, ormai lo testimonia quotidianamente). Per cui, attenzione all'uso di espressioni come "nostra appartenenza alla NATO", che se usata in senso letterale mi sta bene (noi apparteniamo alla NATO - noi Italia, soprattutto, e noi Europa - come un oggetto appartiene al suo legittimo proprietario), se usata in senso convenzionale come un far parte di un'organizzazione, al cui interno i membri godano di una parità, non mi sta più bene, perché - ma so bene che su questo siamo d'accordo - effettivamente non corrisponde alla realtà.
Ora, tornando a noi, perché dico che l'articolo da te tradotto è interessante (nonostante l'autore - più vado avanti a studiare e più mi rendo conto che l'economia è una cosa troppo seria per lasciarla nelle mani degli economisti)? Proprio perché il nodo di tutto è quella ricchezza reale a cui fa riferimento. Quella ricchezza fa gola e si sta cercando di portarla via, molto semplicemente, e il fatto che l'Europa, nella realtà politica internazionale, non esista e che le sue politiche economiche siano decise altrove rende la cosa ancora più facile - più facile ancora di quanto non sia stato da fare in Italia, dove si è dovuta inscenare la pagliacciata berlusconiana per permettere quel colpo di stato mascherato che passa per essere il governo di salvezza nazionale del prof. Monti. Del resto, io sono di Napoli e so bene che le sceneggiate non sono mai fatte per caso né hanno una semplice funzione spettacolare. Come insegnava Aristotele, lo stesso meccanismo catartico si basa su un principio economico, come ebbe a dimostrare un po' più tardi S. Freud. La sceneggiata, solitamente, ha una funzione di diversivo, per permettere ad altri di fare il proprio lavoro indisturbati - e non si tratta mai di un lavoro gradevole per chi ne subirà le conseguenze (5000 anni di storia non passano invano).

Dario Giugliano

mercoledì 1 dicembre 2010

SOFRI, NON CALPESTARE LA POESIA!

di Luigi-Alberto Sanchi


L'articolo commesso da Adriano Sofri su "La Repubblica" del 27 novembre 2010 ha qualcosa di irreale nella sua soave ignoranza. Sembra voglia battere tutti i record della contradditorietà: parla della lingua italiana trascurata ma la scrive in modo sciatto, dice ai giovani che i Palazzi del potere sono vuoti e non si accorge che lui stesso si trova in uno di essi, un Palazzo mediatico strapotente; informa sulla poesia neogreca disinformando al contempo su quella italiana; soprattutto, tuona che in Italia oggi la poesia impegnata non esiste... allorché lui stesso è stato per più d'un decennio al centro delle scritture poetiche e civili di Gianni D'Elia, uno dei più importanti rappresentanti della poesia italiana contemporanea (assieme a Franco Buffoni, Cesare Viviani, Alberto Bellocchio, Giuliano Scabia...) e, per colmo, suo ex-seguace politico!
No, le parole vengono meno quando si tratta di analizzare l'insondabile, menzognera arroganza di questo articolo. Eppur bisogna rispondere, umiliarsi a rispondere, ben sapendo che contro un medium come "La Repubblica" non servirà a niente e che, del resto, né allo spocchioso Sofri, né alla redazione del suo giornale, né a gran parte del pubblico può importare un fico secco della questione: il suo pezzo, Sofri l'avrà scritto in una mezza serata, fiero di aver trovato un tema serio da trattare quale la commemorazione di Elsa Morante e di poter dire che lui no, non se l'è lasciata sfuggire perché lui è più colto. E poi fa la lezioncina ai lettori del quotidiano nazionale parlando dei poeti greci usciti nei Meridiani. Ecco, la sua paginetta è buttata giù, spedita al giornale, pubblicata.
Passano tre giorni e tutti l'hanno dimenticata; i diretti interessati per primi perché tanto, oggi, il dibattito intellettuale sui giornali non esiste più. E così Sofri può deblaterare a buon conto, avanti il prossimo pezzo, la prossima predica più o meno sgangherata e mal redatta...
La prima smentita che si potrebbe dare all'improvvido Sofri è che qualche mese fa più di cento poeti italiani, ben poco soccorsi da "La Repubblica" e dagli altri media d'Italia, hanno dato vita ad un'iniziativa vibrante, vissuta e largamente seguita, sia su internet che in serate apposite, dal pubblico loro (ma non da Sofri) dal nome "Calpestare l'oblio. Cento poeti italiani contro la minaccia incostituzionale, per la resistenza della memoria repubblicana".
Seconda smentita: proprio quest'anno, nel silenzio più assordante di "La Repubblica" e di altri media, è uscita l'antologia "Trentennio" del già citato Gianni D'Elia, bilancio biografico, poetico e politico di una generazione. Per una volta in un volume di trecento pagine invece delle cento consentite di norma dalla collana di poesia di Einaudi, si tratta dell'ultimo titolo di una ormai lunga serie. Ma questo per Sofri non conta nulla.
Terza smentita: contrariamente a quanto sostiene il male informato articolista che fulmina contro le tendeze frivole dei poeti italiani così poco impegnati, negli ultimi anni la poesia del nostro paese sta cambiando. Né è testimone il "Portale di poesia e realtà" che è "La Gru", l'afflusso che registra di poeti giovani o già maturi, ma anche la critica più recente, per esempio quella di Daniele Maria Pegorari, autore di "Critico e testimone. Storia militante della poesia italiana 1948-2008" (Morelli&Vitali, 2009).
La smentita finale tiene in due parole: Roberto Roversi. Un nome e un cognome. Spero di non avere bisogno di dire altro sul più gran poeta civile italiano, che ha pubblicato l'edizione della sua opera, "L'Italia sepolta sotto la neve", in edizione domestica (trentadue copie), dato il livello dell'udienza.
Allora scrivere quel che Sofri ha scritto quando la realtà è tutt'altra, e addirittura quando quella realtà letteraria si occupa pure di lui, della sua troppo lunga prigionia, del suo essere politico, diventa una tragica beffa.
Questo tipo di sberleffo tuttavia è destinato a restare senza una risposta mediatica equivalente, né Sofri stesso consentirà mai ad una ritrattazione o una parola di rammarico, perché il suo scritto è apparso su di uno dei giornali che più hanno contribuito in questi ultimi anni a mascherare la viva e plurale realtà d'Italia, a svilire ogni opposizione, a negare ogni vera alternativa: si veda il poco e nulla che combinano i suoi referenti del P.D.
"La Repubblica " che paga Sofri è il contenitore ideale per questo tipo di ciarlataneria apparentemente impegnata, in realtà frivola, mistificatrice, disperante.
Che cosa sarebbe costato all'incredibile Sofri usare il suo articolo, cioè il suo strapotere mediatico, per dire tutt'altra cosa, per informare gl'italiani che sì, la poesia impegnata in Italia esiste, è vivace, intelligente e, soprattutto, è bellissima, efficace, appassionante?
In conclusione, mi pare che il buon Sofri, dal suo palchetto o pulpito mediatico, abbia un problema a vedere la realtà. E' prigioniero di una forma di languore abulico, di chiusura mentale, di smemoratezza politica, oltreché d'ignoranza poetica. Che dirgli per aiutarlo a liberarsene? Sofri, esci dalla tua prigione mentale, non calpestare la poesia italiana!