mercoledì 1 dicembre 2010

SOFRI, NON CALPESTARE LA POESIA!

di Luigi-Alberto Sanchi


L'articolo commesso da Adriano Sofri su "La Repubblica" del 27 novembre 2010 ha qualcosa di irreale nella sua soave ignoranza. Sembra voglia battere tutti i record della contradditorietà: parla della lingua italiana trascurata ma la scrive in modo sciatto, dice ai giovani che i Palazzi del potere sono vuoti e non si accorge che lui stesso si trova in uno di essi, un Palazzo mediatico strapotente; informa sulla poesia neogreca disinformando al contempo su quella italiana; soprattutto, tuona che in Italia oggi la poesia impegnata non esiste... allorché lui stesso è stato per più d'un decennio al centro delle scritture poetiche e civili di Gianni D'Elia, uno dei più importanti rappresentanti della poesia italiana contemporanea (assieme a Franco Buffoni, Cesare Viviani, Alberto Bellocchio, Giuliano Scabia...) e, per colmo, suo ex-seguace politico!
No, le parole vengono meno quando si tratta di analizzare l'insondabile, menzognera arroganza di questo articolo. Eppur bisogna rispondere, umiliarsi a rispondere, ben sapendo che contro un medium come "La Repubblica" non servirà a niente e che, del resto, né allo spocchioso Sofri, né alla redazione del suo giornale, né a gran parte del pubblico può importare un fico secco della questione: il suo pezzo, Sofri l'avrà scritto in una mezza serata, fiero di aver trovato un tema serio da trattare quale la commemorazione di Elsa Morante e di poter dire che lui no, non se l'è lasciata sfuggire perché lui è più colto. E poi fa la lezioncina ai lettori del quotidiano nazionale parlando dei poeti greci usciti nei Meridiani. Ecco, la sua paginetta è buttata giù, spedita al giornale, pubblicata.
Passano tre giorni e tutti l'hanno dimenticata; i diretti interessati per primi perché tanto, oggi, il dibattito intellettuale sui giornali non esiste più. E così Sofri può deblaterare a buon conto, avanti il prossimo pezzo, la prossima predica più o meno sgangherata e mal redatta...
La prima smentita che si potrebbe dare all'improvvido Sofri è che qualche mese fa più di cento poeti italiani, ben poco soccorsi da "La Repubblica" e dagli altri media d'Italia, hanno dato vita ad un'iniziativa vibrante, vissuta e largamente seguita, sia su internet che in serate apposite, dal pubblico loro (ma non da Sofri) dal nome "Calpestare l'oblio. Cento poeti italiani contro la minaccia incostituzionale, per la resistenza della memoria repubblicana".
Seconda smentita: proprio quest'anno, nel silenzio più assordante di "La Repubblica" e di altri media, è uscita l'antologia "Trentennio" del già citato Gianni D'Elia, bilancio biografico, poetico e politico di una generazione. Per una volta in un volume di trecento pagine invece delle cento consentite di norma dalla collana di poesia di Einaudi, si tratta dell'ultimo titolo di una ormai lunga serie. Ma questo per Sofri non conta nulla.
Terza smentita: contrariamente a quanto sostiene il male informato articolista che fulmina contro le tendeze frivole dei poeti italiani così poco impegnati, negli ultimi anni la poesia del nostro paese sta cambiando. Né è testimone il "Portale di poesia e realtà" che è "La Gru", l'afflusso che registra di poeti giovani o già maturi, ma anche la critica più recente, per esempio quella di Daniele Maria Pegorari, autore di "Critico e testimone. Storia militante della poesia italiana 1948-2008" (Morelli&Vitali, 2009).
La smentita finale tiene in due parole: Roberto Roversi. Un nome e un cognome. Spero di non avere bisogno di dire altro sul più gran poeta civile italiano, che ha pubblicato l'edizione della sua opera, "L'Italia sepolta sotto la neve", in edizione domestica (trentadue copie), dato il livello dell'udienza.
Allora scrivere quel che Sofri ha scritto quando la realtà è tutt'altra, e addirittura quando quella realtà letteraria si occupa pure di lui, della sua troppo lunga prigionia, del suo essere politico, diventa una tragica beffa.
Questo tipo di sberleffo tuttavia è destinato a restare senza una risposta mediatica equivalente, né Sofri stesso consentirà mai ad una ritrattazione o una parola di rammarico, perché il suo scritto è apparso su di uno dei giornali che più hanno contribuito in questi ultimi anni a mascherare la viva e plurale realtà d'Italia, a svilire ogni opposizione, a negare ogni vera alternativa: si veda il poco e nulla che combinano i suoi referenti del P.D.
"La Repubblica " che paga Sofri è il contenitore ideale per questo tipo di ciarlataneria apparentemente impegnata, in realtà frivola, mistificatrice, disperante.
Che cosa sarebbe costato all'incredibile Sofri usare il suo articolo, cioè il suo strapotere mediatico, per dire tutt'altra cosa, per informare gl'italiani che sì, la poesia impegnata in Italia esiste, è vivace, intelligente e, soprattutto, è bellissima, efficace, appassionante?
In conclusione, mi pare che il buon Sofri, dal suo palchetto o pulpito mediatico, abbia un problema a vedere la realtà. E' prigioniero di una forma di languore abulico, di chiusura mentale, di smemoratezza politica, oltreché d'ignoranza poetica. Che dirgli per aiutarlo a liberarsene? Sofri, esci dalla tua prigione mentale, non calpestare la poesia italiana!

14 commenti:

  1. Mi chiedo se scrivere una lettera aperta a Repubblica possa servire. Anche solo per smuovere questa noncurante critica, questa opinione da canone mediatico, intorno alla realtà poetica.
    Non possiamo tentare?
    Jonata Sabbioni

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  2. Caro Sabbioni,

    sì, possiamo e dovremmo. Credo che gli amici de "La Gru" abbiano inoltrato a "Repubblica" - per informazione - il mio scritto di risposta. Ovviamente ciò non sortirà alcun effetto. Mentre una lettera firmata da più nomi sarebbe un'azione minima da intraprendere, e più efficace per difendere la nostre sacrosante ragioni. Più compagni s'indignano, più la lettera sarà bella. Mo' tocca a voi: io firmerò anche quella dopo aver firmato questo presente articoletto.
    Un cordialissimo saluto,

    L.-A. S.

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  3. Condivido tutto Luigi. La tendenza odierna, a cui ha manifestamente contribuito la sinistra anestetizzata di certe testate come Repubblica, è quella di negare ciò che non anestetizza e non è anestetizzante. Negare, anzi peggio, far finta di ignorare l'esistenza di una poesia dal notevole impianto civile come quella di D'Elia e di molti altri poeti viventi, equivale a negare il dissenso e ogni possibile riscatto. La realtà c'è ma è visibile ancora solo l'irrealtà e Repubblica di questa irrealtà è la più palese manifestazione.
    Enrico Cerquiglini

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  4. Ciao. La storia di Repubblica ci ricorda che da sempre è in prima linea contro la poesia, e a favore della sua rimozione dai palinsesti culturali di questo paese: se andiamo a rileggerci le terze pagine di questo strombazzante quotidiano, notiamo come dei poeti si scrive, nella migliore delle ipotesi, quando muoiono... allora splendidi e inutili coccodrilli su Luzi, Caproni, Bertolucci. Le recensioni a poeti italiani, in pratica non esistono...eccezion fatta per qualche libro sempre di Luzi (Citati), del proprio redattore Marcoaldi, o di un poeta di establishment quale è Conte. Poi il nulla. In un solo caso questa testata ha 'promosso' la poesia: quando ha capito che i volumetti rossi finemente rilegati e in brossura potevano diventare occasione da mercato: 200.000 copie e oltre a titolo: che meraviglia, per la gioia delle librerie della middle-class più chic che radical dei salotti buoni.

    Che dire di Sofri? La sua supponenza sta tutta nei luoghi comuni che esprime dalla sua tribunetta. Come la sua ingratitudine.
    Bravo Sanchi, sottoscrivo il tuo pezzo.(manuel cohen).

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  5. Carissimi Enrico e Manuel,

    leggo con emozione le votre risposte, mi sento meno solo...
    Grazie di cuore, continuiamo la lotta!

    Luigi

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  6. ciao luigi, piacere. condivido quello che hai scritto. in quanto alla possibilità di replica penso non sia vano tentare, ma credo anche che è forse vano sperare che la risposta venga poi con altrettata chiarezza, sullo stesso piano del discorso. l'accusa più comune è che siano chiacchiere che interessano solo i 4 gatti che leggono poesia. per il resto, non facendo abbastanza clamore scandalistico, tutto viene travisato affinché lo diventi (e il fuoco del discorso passa da un'altra parte, tipo "uh i poeti vogiono il microfono"). si crede che spostare il livello della discussione su un piano meno sciatto, banale, disinformato ecc non sia qualcosa degno dei lettori, evidentemente. ma invece bisogna dirle, le cose. mandarla a casa, la gente che bada solo al mercantilismo. e non parlo di sofri ma di chi dirige quelle pagine in un certo modo. vogliamo giornali migliori, dobbiamo rifiutarci di accettare questa roba, non comprarli, non leggerli, smettere di tapparsi il naso per andare avanti.
    sottoscrivo quindi. sai cosa però? non aspettarti che lo facciano "penne illustri". da loro servirebbe una replica, sarebbe sano e forte che fossero loro a scrivere, quantomeno per autorevolezza. ma credo che ben pochi, forse nessuno, arriverà a questo. un saluto, azzurra d'agostino

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  7. Cara Azzurra,

    ti ringrazio per la tua lettura e per il punto di vista realistico che esprimi. In effetti non c'è molto da fare se non scrivere quel che si pensa senza temere i (pre)giudizi. Detto ciò, è incredibile che io sia il solo (o quasi) a rispondere alla provocazione di Sofri! I compagni de "La Gru" stanno muovendosi per promuovere un'azione collettiva dopo la mia risposta a caldo: tra non molto, spero, sapremo che cosa si prepara.
    Un carissimo saluto e grazie ancora per la tua attenzione,

    L.-A. S.

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  8. Mi sembra che abbiate letto l'articolo di Sofri con un certo pregiudizio.
    Cordiali saluti
    Eugenio Papetti (Brescia)

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  9. mi associo anche io e credo che sia una cosa seria e serena (al di là della "polemica", in sostanza) raccontare quello che già si sta facendo e i progetti futuri proprio per ribadire che gli esempi ci sono e altri ne possono venire, e dire che tutto fa schifo (e fermarsi lì) non serve a nulla.

    matteo fantuzzi.

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  10. Cari Eugenio e Matteo,

    vi ringrazio per le vostre reazioni al mio pezzo. Non mi pare però di aver affermato che "tutto fa schifo", bensì di aver aspramente criticato da un lato l'articolo veramente idiota di Sofri (argomentando e non soltanto inveendo sulla base di pregiudizi, mi sembra), dall'altro l'azione mortifera della pagina culturale di "Repubblica", il che è certo un mio modo di vedere, ma l'ho definito con chiarezza pur senza sviluppare un'argomentazione specifica.
    Quel che invece recisamente rifiuto è la frase secondo cui mi "fermo lì" (dopo aver detto che "tutto fa schifo"). No, poiché faccio parte de "La Gru" e anche di altre organizzazioni per diffondere un ideale di resistenza politica e culturale. I vari scritti pubblicati in libri o su siti internet confermano, credo, che non mi sono per niente "fermato lì"...
    Allora, buona lettura e grazie ancora per il vostro stimolante intervento,

    L.-A. S.

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  11. Credo che Fantuzzi si riferisse a Sofri e non al suo intervento di risposta

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  12. Caro Luigi, sono uno dei poeti di "Calpestare l'oblio" e, condividendo l'indignazione, penso però che, in qualche modo, Sofri abbia messo il dito sulla piaga; mi spiego: è verissimo che buona parte del movimento poetico in Italia è dissenziente verso un modo di fare politica, e quindi di incuneare un cancro nella società (chi ti parla è senza lavoro da 15 mesi dopo trent'anni di fabbrica, per es.), ma è anche vero che solo alcune delle voci più alte della poesia intervengono attivamente nel dibattito sociale, altri, con un silenzio che non vorrei scambiare per assenso, si tengono ben stretta la collana di pregio in cui pubblicano... insomma, vorrei pensare che Sofri si riferisse a loro, a questi dinosauri della poesia che pubblicano anche se ormai sarebbe meglio non lo facessero, o uscissero per editori minori, e che così, magari, forse, chissà, svecchiassero un po' anche le collane di poesia, portassero un po' d'aria fresca, vivace, all'interno di esse.
    Ad ogni modo io sono pronto a firmare questa tua replica; qualcosa bisogna pur tentare per spostare i macigni.
    Un caro saluto. Fabio Franzin

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  13. Ciao, saluto tutti, Fabio, Matteo, Azzurra: bisogna comunque riconoscere che l'autorevolezza di Sofri è priva di autorità nello specifico della poesia: non mi sembra che Sofri abbia il polso della situazione della poesia in atto; non è neppure un critico di riferimento. E' fuori luogo il suo discorso, come Repubblica esce dal seminato, non occupandosi, entrambi, abitualmente di poesia. Un caro saluto, a volte bisogna erssere spietati. Non sia questa, neppure l'occasione di un qualche ricatto morale, ma proprio dai poeti è venuto in passato un grande aiuto, anche fattivo e non di sola solidarietà, al caso, umano, politico, giudiziario, di Sofri. (manuel cohen)

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  14. Sono Paolo Febbraro e invio un commento su quanto scritto da Luigi-Alberto Sanchi. Chiedersi dove mai sono finiti i poeti, e non solo quelli "impegnati", è una moda di questi decenni. C'è chi afferma che dopo De Angelis e Magrelli la poesia è tramontata. Chi risale addirittura a Zanzotto. Chi invece rimpiange Pasolini, anche se non saprebbe riconoscerlo se spuntasse oggi. Tutto questo, molto in breve, non deve dissuaderci dallo scrivere poesia: deve indurci a riflettere e a selezionarci, autocriticarci molto nel momento di pubblicarla. Ma soprattutto, deve farci pensare in profondità a cosa vuol dire essere un poeta impegnato, scrivere poesia impegnata. La sordità di Sofri, e di tutta "La repubblica", pur nella sua miseria, non è un segnale trascurabile: ci dice quanto sia velleitario ripercorrere la strada della poesia esplicitamente, partiticamente engagée. Senza un pubblico che non sia quello degli stessi facitori di versi (la parola "poeta" la uso con la massima attenzione), la poesia di protesta sembra essere una petizione di principio, un'ecologia interiore, un nobile arroccamento, l'occupazione di uno spazio retorico che si crede spazio storico. Credo invece che l'unica cosa da fare è non la poesia impegnata, ma la poesia impegnativa: ridare forza al nostro dire grazie all'onestà e alla verità dei nostri momenti poetici, sapendo bene che appunto di momenti (e del lungo silenzioso lavoro per procurarceli) è fatta la poesia. "Volere" la poesia come alternativa al rumore e alla volgarità dilaganti deve significare saperla aspettare, coltivare, sceglierla, con una intensità e una pazienza che già di per sé, oggi, sono rivoluzionarie, o almeno inattuali. Se poi la nostra ispirazione ci porta eventualmente a una poesia di aperta, particolare denuncia, bene: ma dobbiamo sapere che nessun "tema giusto" ha di per sé cittadinanza estetica o morale. La moralità della poesia sta nella sua bellezza, e solo la bellezza profonda è onesta, producente e impegnativa. Ovvero impegna altre menti e cerca, crea unisoni.
    Un caro saluto, Paolo Febbraro

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