Nuovi autori: Poeti dissidenti, criticano l’omologazione del consumismo e dello spettacolo
Versi che parlano anche al movimento: «Ci sognavate tutti tronisti e veline. Vi sbagliavate»
Sanchini, Antonello, Zattoni, Daino: quattro poeti a cui la sinistra italiana, erede di Gramsci e Pasolini, dovrebbe dare voce. Alla crisi della politica questi giovani poeti offrono una direzione verso cui guardare.
Da leggere – Voci critiche per sonetti e poemetti
Voci giovani di poesia, poeti se non militanti, ma molto critici con l’omologazione culturale, il degrado del linguaggio e dei valori. Parliamo di Stefano Sanchini che ha all’attivo la raccolta «Interrail» (Fara), Danni Antonello, che ha pubblicato il poemetto politico «Italia», di Matteo Zattoni, che ha tre raccolte in libreria («Il nemico», Il ponte vecchio, «Il peso degli spazi», LietoColle e «L’estraneo bilanciato», Stampa); infine di Chiara Daino, autrice del romanzo «La merca» (Fara).
Davide Nota (da "L'Unità", 18 agosto 2009)
Dietro la grande rappresentazione della banalità omologata italiana, cresce e si sviluppa una nuova generazione di poeti italiani. Nati a cavallo tra gli anni ‘70 e i primi ‘80, studiano Pasolini, criticano il presente, criticano l’omologazione del consumismo e dello spettacolo. «Profanare il tempio delle banalità di massa con lo scandalo della poesia. Oltraggiare l’epoca a colpi di amore». La sinistra dovrebbe saperli accogliere, promuovere, incoraggiare. Non lasciare disattesa proprio la gramsciana «questione culturale» di cui invece si appropria la destra, con i vari Dell’Utri, Crespi e Davide Rondoni. È sempre una violenza costringere la poesia a categorie di lotta politica; ma pure questi giovani scrittori molto avrebbero da dire ai ragazzi che si sono riconosciuti nello slogan: «Ci sognavate tutti veline e tronisti: vi sbagliavate».
Pensiamo al marchigiano Stefano Sanchini (1976), il cui esordio risale al 2008, con la raccolta Interrail (Fara) e con il poemetto di teatro in versi Via del Carnocchio, roversianamente ciclostilato in proprio ed altrettando distribuito. Immaginiamolo in piedi, dunque, nel mezzo di un incontro pubblico, scandire con voce di fuoco: «aspiro ad essere / l’anello malato della catena di montaggio / aspiro alla solitudine e all’ingiuria / ho paura, certo / il sogno era un altro e c’erano gli altri / con il loro viaggio a incontrarsi / che vivi siamo in questo tempo / ma dove sono gli altri? Dove / le provviste?».
Danni Antonello (1978) è invece un giovane poeta veneto, traduttore dal francese, direttore della piccola ma sempreverde casa editrice La spina, in provincia di Padova. La sua parola, orfica e incivile, ci ricorda Dylan Thomas, Jean Genet, Rimbaud, la sua rivolta è anarchica e individuale: «come il gabbiano che controvento / cede alla raffica e vira». Maleggiamolo anche dal poemetto politico Italia, stampato dall’Istituto veneziano per la storia della resistenza e della società contemporanea, in occasione del sessantesimo anniversario della liberazione: «In viale dei tigli ad ogni tiglio sta appesa una corda, / spessa quanto forte quanto duro è il collo spezzato / dell’uomo che ha impiccato: l’antifascista, il partigiano / che un secondo prima di morire muto come l’orgoglio / dentro di sé ha pensato: / “Non basteranno tutti i tigli del mondo / per impiccare un popolo”».
Del lombardo Matteo Zattoni (1980), già uscito con Il nemico (Il ponte vecchio, 2003), Il peso degli spazi (LietoColle, 2005) e L’estraneo bilanciato (Stampa, 2009), ha già ben scritto Gianluca Pulsoni: Zattoni «legge il mondo come luogo del pensiero e del possibile recuperando il desiderio poetico e “politico” di tornare a percepire la realtà nel suo dinamismo dialettico. Per esprimere, nel suo realismo, l’immagine come contenuto di verità e domanda». (La Gru n.5, luglio 2008). È vero, se nella silloge dall’evocativo titolo situazionista Il mondo senza spettacolo il poeta profana il dogma del controllo securitario e finanziario («Adoro sorridere dentro le banche / alle loro telecamere, alla ricerca del piccolo / particolare l’idiota mi scruta con grande / attenzione, forse allerta il servizio / d’ordine – cos’avrà quello / da sorridere?») e amaramente ci interroga: «come fare a cambiare il mondo / se non riusciamo neanche più a cambiare / canale (…)?».
Infine spostiamoci a Genova per incontrare Chiara Daino (1981), sorprendente rivelazione della nuova scrittura italiana in prosa ritmica ed artistica. Il suo amalgama linguistico di basso gergo giovanile ed alta sperimentazione letteraria (con grandi riferimenti, da Emily Dickinson ad Amelia Rosselli), tra citazioni rock e tensioni escatologiche, ci parla di una lotta intestina tra l’io e la storia, tra corpo individuale e mondo socializzato. Il suo primo romanzo, La merca (Fara, 2006), ha la voce diretta e non mediata di una dca (disturbi del comportamento alimentare). Priva di pietismi e morali esterne, la Daino ne approfitta per un feroce affondo generazionale: «Questa è la generazione di Jenny. Meditate, genitori, meditate. Pensierino del giorno: le cellule impazzite della generazione, da voi generata, dovrebbero impedirvi di dormire sereni (…), il frutto del vostro ventre si getta dal palazzo più alto perché ha preso solo un 27 all’ultimo esame e non vi ha resi abbastanza orgogliosi: non ha compiuto “il suo dovere”». Sanchini, Antonello, Zattoni, Daino: quattro, di una lunga lista di nuovi autori a cui la sinistra italiana, erede di Gramsci e Pasolini, dovrebbe dare voce. Insomma, torni la sinistra ad investire sulla cultura: alla crisi della politica omologata e scollata dal reale, questi giovani poeti italiani sanno reagire, offrendo, se non ancora una risposta, una direzione verso cui guardare. Ascoltiamoli.
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