mercoledì 2 settembre 2009

LAMPI SU CARTA, CLEMENS TOBIAS LANGE

Saldare un debito. L'attenzione verso l'arte di un mago, un chiromante della carta, un devoto del segno.
Per questo - oltre che per rivendicare ancora, perché ce n'è sempre bisogno - la profonda inattualità delle cose che ci premono e ci appassionano - lascio qui il mio, di segno. Non so cos'è. Forse una lettera, forse un appunto, forse una nota, forse un delirio... o forse solo una serie di parole, in fila, tra molto caso e molta necessità. Ma proverò a saldare un debito, nei confronti di quest'arte, ben sapendo che il debito, come sempre, e come nei migliori dei casi, è pressoché "infinito".






Clemens Tobias Lange è un grande artista. Fotografo, stampatore, librario, editore (www.ctl-presse.de) e chissà cos'altro ancora. Tedesco d'origine, e quasi un veneziano d'adozione (studiò in Laguna, fu allievo e amico di Vedova). Qualcuno che sente la temperatura e la vita della carta, qualcuno che letteralmente fa i libri, direttamente ispirato dai luoghi che i libri "incorporano".

Le immagini che vedrete qui di seguito, intervallate da quanto di mio riporto oggi qui - l'ennesimo resto diventato altro - sono tratte dal catalogo di una sua mostra, POESIA PER I SENSI, tenuta alla Biblioteca Nazionale Marciana, a Venezia. Nel 2007.
Presto arriveranno altre tracce.

GP


ESTASI DELL'IMMAGINE


È come la luce che rimbalza nell’acqua, ma l’acqua è la carta, la luce è la grana. Non si vedono né si leggono le immagini dell’artista “chiromante” dell’immaginazione – è fotografo, tipografo ed editore – Clemens Tobias Lange.
Le sue immagini ti toccano. È una esposizione alla meraviglia: al sentimento dell’ originario quindi, allo stupore prima e primo del pensiero.
Tutto questo perché per lui il supporto è l’immagine, e l’immagine – come la filosofia insegna – un segno.
Così i suoi libri, opere che cullano in osmosi il linguaggio che dovranno contenere – se si pensa al bellissimo libro “composto” per ospitare La Scuola siciliana; oppure un altro esempio, La canzone di Akyn.

La poesia allora intarsiata nelle fibre di queste pagine si connota e si corrobora di un ulteriore alone di magnificenza e di alterità di linguaggio.
La poesia allora intarsiata nelle fibre di queste pagine si connota e si corrobora di un ulteriore alone di magnificenza e di alterità di linguaggio.

Ciò che poi è importante è un immaginario che si scorge tra le pieghe di queste carte, che è una deriva verso una atmosfera “orientaleggiante”… nebulosa ma formalmente precisa… in cui l’arte del ricamo fa il palio con l’intenzione ad essere nel
satori.

E, come se non bastasse, i libri sono il talismano dei viaggiatori. O forse, solo della sola idea del viaggio, dell’erranza. Perché sono, anche, lo spazio dove i pensieri camminano. E lo sguardo si ferma.
Però i libri di Tobias avanzano con un procedere strano: fissano il linguaggio, si muovono con le loro immagini, frastaglianti – come fronde d’alberi nel vento, come la foresta di Macbeth verso di noi.

Il punto fisso in queste opere non c’è.



Però c’è una captatio benevolentiae che qua e là colora il barlume e le zone grigie della pagina con un “colore” specifico, una oratura sublime.
Ocra o grigio, è un tocco e uno zampillo di sensazione.
Lo sguardo allora si può perdere dentro e fuori. L’orlo che divide contenuto e contenitore non c’è. È in-finito. È il libro stesso. Il libro prima del linguaggio.

Il libro prima dell’uomo.

E,
ça va sans dire
, l’immagine pulsa il sangue del libro. Ne è il cuore segreto – quello di Canetti, che sta nell’immaginazione del tempo, come misura ideale.
Allora si può dire anche una cosa in più, più o meno già affermata “tra le righe”: l’arte di Tobias fa vivere l’immaginazione, a discapito delle sue forme, attraverso le sue forme.

Perché mi sembra chiaro: cos’è un libro, se non un linguaggio che immagina una storia, oppure una serie di pensieri, oppure una serie di emozioni?
E cos’è l’immagine se non la percezione metaforica e metonimica della “complessità irriducibile” del reale?




Ecco allora il segno di Tobias. Una sovrapposizione tra libro e immagine, tra supporto e composizione. La costruzione di un cristallo che filtra, deposita e devia l’amalgama del “colore” di un pensiero.
E tale sovrapposizione “ricrea” – dunque diverte e sollecita – il basso continuo dell’immaginazione bambina. Una felice quiescenza delle forme, per dare seguito al proprio istinto di “mago incantatore” di sé stesso. In balia di mille luci come di mille istinti.

Come la solennità austera ed esoterica dei suoi calanchi e delle sue agavi. Immagini da un altro mondo, le ombre delle nostre luci.




Gianluca Pulsoni, primavera 2008












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