martedì 26 novembre 2013

LUNGA UN ANNO - FRANCESCO ACCATTOLI + CONCERTO ACUSTICO - GUIDO IANNI E LUCA GASPARI, èquilibri / Spazio NovaDea, Ascoli Piceno



Titolo: LUNGA UN ANNO
Poeta: Francesco Accattoli
Moderatore: Alessio Alessandrini
Musicisti: Guido Ianni, Luca Gaspari
Luogo: èquilibri – Spazio NovaDea
Largo Crivelli, 8 – 63100 Ascoli Piceno
Coordinamento e comunicazione: Spazio NovaDea
Inaugurazione: venerdì 29 novembre ore 18.00
Info: 0736.259888

libreriaprosperi@hotmail.it

Doppio evento di poesia e musica venerdì 29 novembre 2013 alle ore 18.00 ad Ascoli Piceno presso èquilibri (AscoliEquoSolidale + Libreria Prosperi).
Si inizia con la presentazione-reading del libro LUNGA UN ANNO (Sigismundus, 2013) del poeta Francesco Accattoli, un libro d'arte in edizione limitata e numerata a mano dall’autore per cento copie su carta cotonata, con sei opere pittoriche dell'artista Linda Carrara. Introduce e dialoga con l'autore il poeta e docente ascolano Alessio Alessandrini.
A seguire il concerto acustico dei musicisti Guido Ianni e Luca Gaspari (Libra).

Lunga un anno è un libro preciso, compatto; un libro dove la composizione dei diciannove testi intende mostrare il senso di un’esperienza che segna un limite nel cammino della vita: la fine di un amore.
Ecco perché questo titolo, sebbene coincida esattamente con la cronologia di scrittura (da gennaio 2012 a dicembre 2012) e la denoti in tutta la sua tecnica referenzialità, allude ad una vastità semantica attraverso la quale l’espressione lunga un anno si sovrappone – come la parte che getti la propria ombra oscurando l’intero – a tutto l’arco di cui è costituita la nostra vita: essa è uno spazio chiuso, singolare e unitario, continua elaborazione di quella perdita fondativa. (dalla prefazione di Tommaso Di Dio)

Durante la serata sarà inoltre visitabile la mostra L'ETERNO VIANDANTE del fotografo Fabrizio De Fabiis. La mostra rimarrà aperta fino al 7 dicembre, dal lunedì al sabato dalle 9 alle 13 e dalle 16,30 alle 20.

Francesco Accattoli nasce ad Ancona nel 1977. Si laurea nel 2003 presso la Facoltà degli studi di Macerata in Lettere Classiche ad indirizzo archeologico. Nel 2002 esce per Stamperia dell’Arancio il suo primo libro di poesie e prose Come acqua che riposa. A nove anni di distanza dal precedente lavoro, nell’aprile del 2011 esce per FaraEditore la sua nuova raccolta di poesie dal titolo La neve nel bicchiere, con una prefazione di Renata Morresi e la copertina curata dalla pittrice Federica Amichetti. Attualmente vive e insegna nella Provincia di Ancona.

martedì 12 novembre 2013

L'ETERNO VIANDANTE - FABRIZIO DE FABIIS - èquilibri / Spazio NovaDea, Ascoli Piceno


Titolo: L'ETERNO VIANDANTE
Artista: Fabrizio De Fabiis
Curatore: Daniele De Angelis
Luogo: èquilibri – Spazio NovaDea
Largo Crivelli, 8 – 63100 Ascoli Piceno
Coordinamento e comunicazione: Spazio NovaDea
Inaugurazione: sabato 16 novembre ore 18.00
Periodo e orari: dal 16 novembre al 7 dicembre
dal lunedì al sabato 9-13 / 16,30-20
Info: 0736.259888




Sabato 16 novembre 2013 alle ore 18.00 ad Ascoli Piceno presso èquilibri, che unisce l'associazione AscoliEquoSolidale e la Libreria Prosperi, verrà inaugurata la personale L'ETERNO VIANDANTE del fotografo Fabrizio De Fabiis, a cura di Daniele De Angelis. L’evento sarà anche occasione per presentare l’omonimo libro da cui sono tratte le foto esposte, che pochi mesi fa l’artista ha pubblicato per Sigismundus Editrice. Alla serata parteciperà l’autore.
La mostra rimarrà visitabile fino al 7 dicembre, dal lunedì al sabato dalle 9 alle 13 e dalle 16,30 alle 20.

Come appunti visivi, intuizioni istantanee, frammenti preziosi di ciò che fugge, le fotografie di Fabrizio De Fabiis si susseguono quali tracce di una narrazione multiforme […] Ne viene fuori un mondo contrastato, acido e quasi psichedelico, alle volte livido e inquietante, sempre, però, pervaso da un intenso lirismo; una costante che rielabora i ricercati disaccordi estetici in immagini unitarie, nelle quali il reale, espressionisticamente illuminato, svela ulteriori possibilità della materia. (dal testo critico di Daniele De Angelis)

Fabrizio De Fabiis nasce il 21 Ottobre 1981 ad Ascoli Piceno. Nel 2004 consegue la laurea triennale in fisica presso l'Università degli studi di Perugia e durante questo ultimo anno compie un viaggio in Spagna dove inizia a fotografare: decisivo sarà l'incontro con le fotografie e il pensiero di Henri Cartier-Bresson. Nel 2006 frequenta il primo anno del corso di fotografia all'Istituto superiore di fotografia di Roma e tornato ad Ascoli svolge lavori saltuari e stagionali continuando a coltivare la sua passione. Sono ormai alcuni anni che Fabrizio effettua diverse mostre collettive e personali quando il 26 Febbraio del 2008 un incidente stradale segna lo spartiacque della sua vita poiché rimane in coma per 18 giorni. Al suo risveglio Fabrizio inizia a scrivere poesie e a farle leggere a familiari ed amici. Segue dunque la pubblicazione, nel 2010, del libro Lo specchio nascosto del fotografo per la Edizioni della Meridiana e nel 2012 Studio d'artista, edito per Sigismundus Editrice nel 2012, che vede maturare al suo interno fotografia e poesia nell'ottica di una sintesi finale che le intenda come parti di un unico percorso. Il suo ultimo libro è L'eterno viandate (Sigismundus Editrice, 2013) .

martedì 8 ottobre 2013

TOMMASO DI DIO SU "LUNGA UN ANNO" DI FRANCESCO ACCATTOLI (SIGISMUNDUS, 2013)

Nella poesia di Accattoli è in gioco il resoconto del crescere. Come quel volume di Pavese, questo potrebbe fare proprio il verso scespiriano: Ripeness is all. La maturità è tutto, sì; ma è terra di conquista e di un lungo cammino attraverso l'esperienza della gioia e del dolore, dove crescere è sinonimo di abbandono, di continuo e silenzioso mutare.
Lunga un anno è un libro preciso, compatto; un libro dove la composizione dei diciannove testi intende mostrare il senso di un'esperienza che segna un limite nel cammino della vita: la fine di un amore. La resa di fronte all'abbandono è, si sa, uno dei temi più diffusi nella letteratura da sempre e oggi ovunque riprodotto da milioni di oggetti orchestrati per il consumo di massa; ma se esso ha potuto essere milioni di volte interpretato, a tutti i livelli culturali possibili, è proprio perché esso rivela una struttura fondamentale della nostra vita: il lutto che instaura la nostra separatezza ed individualità, la nostra ineludibile singolarità. Ecco perché questo titolo, sebbene coincida esattamente con la cronologia di scrittura (da gennaio 2012 a dicembre 2012) e la denoti in tutta la sua tecnica referenzialità, allude ad una vastità semantica attraverso la quale l'espressione lunga un anno si sovrappone - come la parte che getti la propria ombra oscurando l'intero - a tutto l'arco di cui è costituita la nostra vita: essa è uno spazio chiuso, singolare e unitario, continua elaborazione di quella perdita fondativa.
In principio era la neve. Bianchissimo l'inizio, è neve sui cantieri, neve che blocca tutte le costruzioni e tutti gli orizzonti. Due temi – la neve e i cantieri – che percorrono tutto il libro di Accattoli, diventando due figure essenziali per capirne lo sviluppo. Da questa condizione di immobilità esteriore, di splendente marmorizzazione di tutto il visibile e di ogni efficacia operativa, si intraprende un cammino che esplora la dimensione invisibile della lentissima crescita interiore. Un maturare che è dapprincipio dare attenzione, sentire ciò che si ascolta e ciò che si tocca. Ecco che “crepano di schianti i rami” e “i nodi cedono nella\ penombra”: “tutto ci pesa”, ogni cosa ha il proprio peso e il verso, il metro, lo raccoglie nella voce che scrive. Accattoli può ben dire “fuorché il tatto, nessuna cosa\ ci contorna e ci spiega”; ciò che vediamo è distanza, è soltanto “balugine della miopia: dobbiamo toccare per credere, niente è affidabile nel mutamento poiché “tutto ha bruciato il gelo delle nevi”. Non per questo lo sguardo viene abolito in una rarefatta atmosfera in cui ogni cosa risulta sbiadita, sfumata, imprecisa. Al contrario, le cose emergono dalla scrittura con una forza d'impatto che annulla ogni gerarchia: non ci sono più termini alti e aulici, né termini triviali. La cogenza della neve, il suo peso sopra ogni cosa e la volontà netta di ascolto interiore permette che tutto appaia, che tutto sia inteso nel suo senso fondativo, qualunque cosa esso sia. Questa apertura linguistica, sinonimo di un profondo ascolto di ogni evento, è uno degli aspetti che maggiormente caratterizzano la scrittura di questo libro e di questo autore, che non teme – e anzi sa giovarsene infinitamente – di rappresentare il “vetro opaco,\ alabastro con un filo d'illuminazione”, come l'essere “feriti dal prezzemolo tra i denti”; oppure “l'argentato\ farabutto delle schede gratta&vinci”, come il raffinatissimo “odore ingiallito di fiori nuziali”. Possiamo trovare la parola letteraria “prece”, oppure la parola “cruna”; ma anche il comunissimo “sputerò”, l'insetto “millepiedi” e “l'unto\ amaro che galleggia sul piatto”: ogni livello gerarchico è annullato dal bianchissimo bianco della neve che mostra il peso segreto di ogni cosa.
A questa apertura linguistica che sa aderire ad ogni momento dell'esperienza rivelandone il peso, si ricollegano alcune poesie scritte nel dialetto più proprio del poeta: il dialetto di Osimo. Esse sono solo quattro; ma per bellezza e forza appaiono come vere e proprie cerniere, snodi cruciali dell'intero libro. La lingua qui usata non ha nulla di letterario e non è utilizzata per richiudere sotto ulteriore tegumento una parola che vuole distanziarsi dalla vita vissuta; al contrario, è un dialetto “sporco”, un dialetto “bastardo”, parlato e popolare che trova qui forma scritta. È una lingua elementare che tenta di avvicinarsi ancora di più alla dizione profonda e interiore, che per larga parte ancora avviene attraverso questa lingua minore. Un dialetto psichico, potremmo dire, se con questa espressione si intende la lingua più vicina a quella voce dell'interiorità, quella voce fatta di altre voci, ascoltate, partecipate, vissute, che qui viene mostrata e addomesticata quel tanto che basta per essere finalmente scritta. Qui la poesia di Accattoli può trovare il suo più proprio accento realistico, ma come innalzato da una forza mitologica di cui è portatrice questa lingua che è interiore nella misura in cui è spartita, anonima e plurale. E allora torna la neve, ma s'è sciolta ed è rimasta la guazza; passano le stagioni e sulle case dove si muore “ce passa davanti un cà vecchio e ce piscia”: ogni dolore ha la sua miseria, ogni domanda sul dolore e sulla gioia è resa ridicola da una vita che si ostina a continuare con le sue meschinità. E non è forse un caso che proprio qui, in questa lingua meticcia e viva, emerge con più forza il tema del crescere, della maturità faticosamente raggiunta e mai presa. Il ricordo del corpo amato è come un pane secco, che non si rompe, che resiste nella propria forma anche se divenuto immangiabile: “pà che non se sfragna e dura”. E questo corpo, che nell'altro corpo si rammemora e vi si comunica, forma un bitorzolo pieno di acciacchi, un brodo senza sapore, allorquando si vede tutto in tutta la propria età: ”bitorzoli ciaccati a trentanni,\ quadrucci 'nt'un brodo sciapo pe' i dolori\ d'esse granni”. Il crescere, il gesto che matura e fa maturare, è un dolore a cui la stessa bellezza della vita ci condanna: “Noialtri semo acini duri d'uvaspina:\ la pelle ce sbrillucciga del viola,\ la polpa ce profuma e ce martira”.
Ed è proprio in questa lingua che emerge una delle immagini più forti di questo libro, un'immagine capace di racchiudere tutta la forza e la mutevolezza della soglia luttuosa della perdita. Siamo in una stagione di pioggia, a metà del cammino del libro: non più nella neve, ci stiamo avvicinando al mare. (Tutto il libro ha infatti questa traccia segreta, la scoperta della mutevolezza dell'elemento liquido attraverso il tempo stagionale che matura). “Adè che piòe\ e piòe”, scrive Accattoli, “sa i culori 'rmasi 'ntatti”, con i colori rimasti intatti; “guasi scolo\ gioppe 'l muro de confine\ tra lo sfaldo e le betoniére”, quasi scolo, giù dal muro di confine, tra l'asfalto e le betoniere; “Scialìmo”, perdiamo consistenza; “e 'nte l'umido l'impronta\ non se tòje né se smorcia”, e nell'umido l'impronta non si toglie né si smorza. Il tempo avanza e noi siamo sempre più abbandono di ogni cosa, quasi scolo d'acqua di risulta che casca a valle, sempre più a valle; eppure, in questo tessuto umido e in movimento continuo che siamo, il segno di aver perso, l'impronta, non va via e anzi ci appare come la sola cosa che ci dona identità: siamo perdita, siamo in ogni perdita, nella corsa dei giorni e di tutti gli amori di una vita.
L'immagine della pioggia torna anche nell'ultimo testo dialettale. Ma qui prepara il finale ed è pioggia che lava nel nuovo inverno che arriva, dopo l'estate marina. Ed è proprio alla riva del mare che si apprende la lezione fondamentale, tappa centrale che condurrà alla maturità raggiunta alla fine del libro. Le due poesie “Maroso” e “Muta geniale” scoprono l'inutilità della lotta contro ciò che perdiamo, inutile ogni rancore: “[...] E vedere ci appartiene, quanto l'ocra\ della spiaggia cui non sappiamo rinunciare.\ Perché ci somiglia questo tratto di riviera,\ il neutro maroso dei giorni\ in cui non sono stati salvati momenti\ alcuni, né insegnamenti, né le vittorie\ che ci aspettavamo”. Nulla si salva, tutto è assorbito dal ritmo vasto, ipnotico di quel bellissimo verso: “il neutro maroso dei giorni”; eppure da questa vita, dalla ricchezza dei suoi “saluti” e dei suoi “arrivederci”, non sappiamo staccarci.
Abbiamo visto come la scrittura di Accattoli indaga i momenti di cui è costituito il crollo, ne sonda i ricordi e le amarezze così come provengono dall'abbandono degli abbandoni. Di rovina in rovina, di ricordo in ricordo, la scrittura va incontro ad una lenta maturazione. Il lettore ne è coinvolto, mentre prosegue, leggendo, poesia dopo poesia; sente una vibrazione minuta percorrere il libro e infine uno scarto si affaccia dopo un lungo anno di attenzione e di ascolto di ogni minima frattura interiore. Nell'ultima poesia, che porta il titolo del libro, si va oltre il dolore e oltre il crollo. Scrive Accattoli: “siamo stati all'ombra troppo tempo”. Finalmente “ognuno dal suo lato\ vede la presenza dell'altro” e insieme “la presenza di se stesso”. A partire da questa scoperta, luminosa e splendente di “singoli bagliori”, reso ognuno finalmente consapevole, la scrittura può tornare alla ricerca dell'altro e della condivisione dell'altro nella sua pienezza e nella sua gioia. Il prossimo libro di Accattoli non sarà un libro di dolore; la sua futura poesia tornerà, ora più matura, finalmente ad essere plurale, a cercare nella parola quella spartizione dell'umana voce che è più sua.


Tommaso Di Dio, Milano 2013
[Premessa a Lunga un anno di Francesco Accattoli, Sigismundus 2013, con illustrazioni di Linda Carrara]

mercoledì 12 giugno 2013

RICHIAMI - LORENZO BARTOLUCCI - LIBRERIA PROSPERI/SPAZIO NOVADEA, ASCOLI PICENO


Titolo: RICHIAMI
Artista: Lorenzo Bartolucci
Cura: Daniele De Angelis
Luogo: Libreria Prosperi-Spazio NovaDea
Largo Crivelli, 8 – 63100 Ascoli Piceno
Coordinamento e comunicazione: Spazio NovaDea
Inaugurazione: venerdì 21 giugno ore 18.30
Periodo: 21 giugno – 20 luglio 2013
Orario: dal Lunedì al Venerdì 9-13 e 16.30-20
Sabato 9-13
Info: 0736.259888329.1979667


Quarto e ultimo appuntamento espositivo di questa stagione, prima della pausa estiva, allo Spazio NovaDea della Libreria Prosperi di Ascoli Piceno. Dopo le personali di Davide Calvaresi, Ignacio Maria Coccia e An Degrida, venerdì 21 giugno 2013 alle ore 18.30 si inaugurerà la mostra RICHIAMI dell'artista anconetano Lorenzo Bartolucci, a cura di Daniele De Angelis.
Con uno sguardo drammatico e lieve e una tecnica asettica e corporale al tempo stesso, l'artista racconta la malattia nei suoi diversi stadi fino alla guarigione, spingendo lo spettatore in una immedesimazione malinconicamente ironica. La mostra rimarrà aperta al pubblico fino al 20 luglio 2013 (Lun-Ven, 9-13 e 16.30-20 / Sabato 9-13) - Ingresso libero.

L'esperienza della malattia è avvicinamento alla disgregazione, alla percezione della fragilità del proprio corpo che in un istante può lacerarsi e disfarsi per sempre. Anche quando alla malattia segue la guarigione, lo sconvolgente passaggio della crisi fisica lascia ferite esperienziali profonde e difficili da suturare. Lorenzo Bartolucci, con le sue opere, si spinge in questo territorio sconvolgente e doloroso, vissuto sulla propria fisicità, mutando in simbolo del percorso dalla malattia alla guarigione una parte biologica di sé: i propri capelli. E' con essi, infatti, che l'artista ricama sulla carta gli attimi, i gesti e gli oggetti della degenza e delle cure, dell'essere accolto in un mondo nuovo, quello ospedaliero, e del successivo rinascere al mondo esterno, suturando con un gesto meticoloso e complesso le ferite fisiche e psichiche più profonde, in un perfetto e lieve equilibrio tra dramma e ironia.

Lorenzo Bartolucci è nato a Tortona (AL) nel 1979. Ha frequentato l'Accademia di belle arti di Macerata e da qualche anno è attivo nel territorio con diverse mostre. Vive tra Ancona e Macerata.

sabato 1 giugno 2013

L'ESPAGNOLE - RAFFAELLA GRECO TONEGUTTI - LIBRERIA PROSPERI/SPAZIO NOVADEA, ASCOLI PICENO


Titolo: L'Espagnole
Autore: Raffaella Greco Tonegutti
Relatore: Alessandra Addari
Luogo: Libreria Prosperi-Spazio NovaDea
Largo Crivelli, 8 – 63100 Ascoli Piceno 
Coordinamento e comunicazione: Spazio NovaDea 
Inaugurazione: 10 giugno ore 18.30
Info: 0736.259888 – 329.1979667
libreriaprosperi@hotmail.it
lella.greco@gmail.com

Lunedì 10 giugno 2013 alle ore 18.30 la Libreria Prosperi di Ascoli Piceno ospiterà nello suo Spazio NovaDea l'incontro con la scrittrice e collaboratrice della Commissione Europea per le politiche migratorie Raffaella Greco Tonegutti, che presenterà il suo primo romanzo L'ESPAGNOLE (Editori Riuniti, 2013), nato a partire da una ricerca condotta tra le mogli dei minatori stranieri occupati nelle miniere belghe. Introdurrà la giornalista e blogger Alessandra Addari

Madame Isabel è L’Espagnole, anziana vedova che affitta camere per garantirsi la sopravvivenza in una Bruxelles multietnica e piovosa. Una mattina d’inverno, nella sua palazzina in mattoncini rossi, arriva Maddalena a occupare l’ultima stanza libera, in mansarda. La casa di Isabel è un luogo sospeso in cui giovani di passaggio portano le storie di una migrazione reversibile, fatta di opportunità da godere e da sfruttare. Isabel osserva le loro vite in  transito, gli amori fugaci, la ricerca del loro posto  nel mondo, mentre Maddalena, appena sbarcata in Belgio, ascolta i suoi racconti della fuga dalla Spagna di Franco, di un’Europa colma di frontiere, di un villaggio dove i minatori del vecchio continente  hanno condiviso la durezza dell’essere migranti,  nelle Fiandre del secondo dopoguerra. L’avventura  migratoria è il cordone che lega Isabel  ai suoi ospiti, ma è la passione per il suo passato a costituire il panno di fondo su cui Maddalena tesse e fila i frammenti della vita di Isabel. 
L’Espagnole è una dichiarazione d’amore per la tenacia con cui le donne migranti affrontano l’indefinitezza del vivere altrove.

Durante la serata sarà inoltre possibile visitare, per l'ultimo giorno, la personale BELLO COME UNA PIETRA IN FACCIA dell'artista An Degrida.

Raffaella Greco Tonegutti è nata a Roma nel 1979, si è laureata in Storia dell’Africa alla Sorbona (Parigi) e dottorata in Diritti Umani all’Università di Pisa. Studia i fenomeni migratori e l’accesso ai diritti/servizi fondamentali da parte delle popolazioni migranti in Europa, mentre collabora con la Commissione Europea sempre nell’ambito delle politiche migratorie. L’Espagnole è il suo primo romanzo, liberamente tratto da un’esperienza di ricerca in storia orale tra le mogli di minatori italiani, spagnoli, marocchini e turchi trapiantate in Belgio.

giovedì 16 maggio 2013

IL PANORAMA VERTICALE - AUGUSTO AMABILI - LIBRERIA PROSPERI/SPAZIO NOVADEA, ASCOLI PICENO



Titolo: Il panorama verticale
Autore: Augusto Amabili
Relatore: Daniele Capriotti
Luogo: Libreria Prosperi-Spazio NovaDea
Largo Crivelli, 8 – 63100 Ascoli Piceno 
Coordinamento e comunicazione: Spazio NovaDea 
Inaugurazione: 25 maggio ore 18.00
Info: 0736.259888 – 329.1979667
libreriaprosperi@hotmail.it


Sabato 25 maggio 2013 alle ore 18.00, presso lo Spazio NovaDea della Libreria Prosperi di Ascoli Piceno, si svolgerà l'incontro con il poeta Augusto Amabili che presenterà, con un intenso e suggestivo reading, la sua ultima raccolta poetica IL PANORAMA VERTICALE, edita da pochi giorni per l'ascolana Sigismundus Editrice di Davide Nota, con una prefazione del poeta Raimondo Iemma. Introdurrà la serata Daniele Capriotti.

Quella di Amabili è soprattutto poesia religiosa, ma ciò non è da intendersi in senso strettamente confessionale. Al contrario, nell'idea di non voler redimere né consolare il mondo, quand'anche questo sia stravolto di rabbia, oppure ridotto a immagine frivola, allucinata […] Ancora, nell'umiltà di non dirsi buoni, accettati, a propria volta assolti. Una religiosità priva della vanità del distacco e dell'ascesa; indifferente alla tentazione di dover consolare. (dalla nota introduttiva di Raimondo Iemma)

L'odierno/ pregnante di disimpegno livella l'orrore/ delle persone che fingiamo di essere/ il coraggio/ lo confonde il depistaggio/ in balia dei capricci/ e dei naufragi teorici/ degli imbecilli/ - nello zoo dello slogan/ le pecore non belano fanno shopping/ e poi zapping./ Resettato a zero e ricostruito/ lo spazio sociale/ comunismo fascismo, e ideologie di consumo/ un universo/ obeso del tanto/ che non ha riempito./ I virus nell'humus votano stress/ e telenovelas. (Augusto Amabili)

Durante la serata sarà inoltre possibile visitare la personale BELLO COME UNA PIETRA IN FACCIA dell'artista An Degrida, in esposizione fino all'8 giugno (lun-ven 9-13 e 16,30-20 sab 9-13).

Augusto Amabili è nato nel 1976 a San Benedetto del Tronto. Da sempre risiede a Spinetoli, nella vallata del Tronto, dove lavora come operaio in una ditta calzaturiera, dipinge e scrive poesia. Suoi testi sono apparsi sulla rivista La Gru, nei blog La poesia e lo spirito e La dimora del tempo sospeso, oltre che all’interno del libro collettivo Calpestare l’oblio (www.lagru.org; Cattedrale, 2010). Nel 2008 ha pubblicato per Fara il suo primo libro di poesia, La convalescenza, con un’introduzione di Davide Nota. Nel 2011 ha dato alle stampe per Sigismundus Editrice La gettata del cielo, con una nota prefatoria di Danni Antonello. Il panorama verticale è la sua terza raccolta.

mercoledì 8 maggio 2013

I FIORI DELLA CITTÀ FERITA - SU EMILIANO MICHELINI


I fiori della città ferita
di Davide Nota

Cos’è «il latrato del lupo che entra nelle scarpe»?
È la preistoria postmoderna che si consuma nei falò delle metropoli, nel battito cardiaco che scandisce il ritmo dei non luoghi di un’Italia avvelenata e mutante, su una bava cementizia che unisce costa adriatica e pedemonte, interrompendo il classico dell’antichità rurale, in una piana successione di capanni industriali, palazzine, ipermercati e bar. Il “soggetto implicito” che abita questo mondo è un ragazzino di vent’anni, nato e cresciuto nel cuore fondo di una Non-storia che canta attraversandola con versi espressionistici e allucinati, in una prima persona franta ed enigmatica, su moduli ricavati da una tradizione orfica e suburbana che traduce Dino Campana in Aldo Nove passando per le esperienze di Nanni Balestrini e Milo De Angelis, ma anche attraverso il cinema di David Lynch e le lande psico-acide del Post-moderno, tra transe iperreale ed antiestro ermetico.
La logica che muove questo racconto in versi, questa anti-epica immersiva e pop della provincia italiana del Duemila, è la scrittura automatica generata da una accelerazione connettiva di parole e di immagini scritte e parlate, che salgono e battono come bassi industrial da una cassa di risonanza interna, una vibrazione interiore alla terra e alla carne storiche.
È l’accelerazione di chi si trova a decifrare i quadri sconnessi dell’esistenza attraverso un filtro sopra cui scorrono i geroglifici audiovisivi di un tardo consumismo disidratato ma ancora assoluto, annodato come edera attorno agli oggetti della realtà e del quotidiano. Ed è la velocità di chi può farlo, soprattutto, solo per mezzo di una connessione alogica di immagini catturate con la coda dell’occhio, dalle corse in motorino alle estasi tecno-barocche della discoteca.
Ciò che resta di tali impressioni sensoriali è la traccia di un passaggio sedimentatosi come cenere sopra la pagina bianca o calcare incrostato attorno alle grate del depuratore storico, quando l’età fluviale sfocia ad altro mare. La poesia di Emiliano Michelini si va costruendo per strati sovrapposti di materiali incongrui, scorie contemporanee auto-filmatesi in dialoghi provvisori e disturbate immagini da videotape amatoriale anni Novanta, corrose dai pixel per mancanza di luce o sfocate dall’impossibilità di una messa a fuoco rapida.
Il sipario si alza su una data simbolica. È il 1998, tre lustri fa. L’autore ha poco più di vent’anni, chi ora scrive ne ha diciassette e sta guardando il film di Schnabel su Jean-Michel Basquiat in un garage di periferia di una provincia marchigiana, assieme ad alcuni amici che inizieranno a dipingere o a leggere poesia. Ciò che accadrà solamente tre anni dopo, nell’implosione delle Twin Towers di New York e dell’immaginario globale, è lontano quanto un Nuovo evo. La ricostruzione mnemonica e alienata di questo io storico in atto, adolescente nella bolla speculativa di una Storia che si immagina finita, è il soggetto poetante che canta in presente indicativo le azioni anti-epiche di un giovane abitante di una delle tante ininfluenti propaggini del sistema globale.
Ma in un contesto che potremmo definire post-Pop, e dove spesso l’ironia ha la funzione di sfigurare o di alienare il pathos tragico, fioriscono come pratoline urbane le forme liriche di un’esperienza umana. Sono piccole creature senza più nome, bianche e viola, sopra di esse passa un motorino; ma schiacciate si rialzano. Il prato dei giardini pubblici come il grande oceano tutto assorbe e perdona. Si nutre di lacrime e di pioggia, riposa all’ombra dei palazzoni a schiera. Qui passano le storie, si stratificano “le nostre impronte su questi giorni”, tracce slavate in uniposca o happy color di una generazione senza volto le cui voci si sono intrecciate in un selvatico coro di fuochi notturni ed albe raggelanti, da obitorio e claxon.
È “l’urlo che ha denti per vedere”, vedere “l’orda dei teen-ager [che] muove i primi passi”, “attaccati qui con questi chiodi” o “con le dita / sul pulsante degli scooter”. È Alice nel paese delle meraviglie traumatizzate, “La ragazza [che] continua il suo calvario, non ritrova / l’altra caramella, quella rossa, esplosa come un fungo, / come un’auto disastrata, cappottata, senza un io”.
Buona lettura.

[Prefazione a La circolazione del sangue di Emiliano Michelini, Sigismundus Editrice, 2013]

lunedì 29 aprile 2013

BELLO COME UNA PIETRA IN FACCIA - AN DEGRIDA - LIBRERIA PROSPERI/SPAZIO NOVADEA, ASCOLI PICENO




Titolo: BELLO COME UNA PIETRA IN FACCIA
Artista: An Degrida
Cura: Katia I.
Luogo: Libreria Prosperi-Spazio NovaDea
Largo Crivelli, 8 – 63100 Ascoli Piceno
Coordinamento e comunicazione: Spazio NovaDea
Inaugurazione: 11 maggio ore 18,00
Periodo: 11 maggio – 8 giugno 2013
orario: dal Lunedì al Sabato 9-13 e 16,30-20
Info: 0736.259888 – 329.1979667
libreriaprosperi@hotmail.it

BELLO COME UNA PIETRA IN FACCIA, personale del giovane ed elusivo An Degrida, è il terzo appuntamento, dopo PLAY WITH A DISPLAY FOR A PLACE TO STAY dell'artista Davide Calvaresi e ASSALTO AL MORO. Il palio di Ascoli del fotografo Ignacio Maria Coccia, della stagione espositiva dello Spazio NovaDea interno alla Libreria Prosperi di Ascoli Piceno. La mostra verrà inaugurata sabato 11 maggio alle ore 18,00 e rimarrà aperta al pubblico fino all'8 giugno 2013 (Lun-Sab, 9-13 e 16,30-20).
I lavori esposti sono una parte della recente produzione di An Degrida, e spaziano dalla toccante rappresentazione grafica dei caratteri e dei linguaggi marginali dei carcerati, ai pittorici collage delle grafiche artigianali, spesso indirizzate al ri-velamento e alla celebrazione sviata del fascino ipnotico del media pubblicitario e consumistico, tra icone pop, slogan, situazionismo, deragliamenti, tra reality e rovine. Ingresso libero.

An Degrida è tutto uno strappo spesso irruente. Non si esercita, ha il tiro di chi non conosce l'arte e non ne produce, non sa praticare la grafica e comunque non gli interessa. Funziona "quel che fa" e questo è tutto. Il groove è feticista, mercifica qualsiasi cosa da Cobain a Sasha Grey. Solo in un paio di lavori è stato sincero..ma qui la storia è lunga.
Il mercato ha vinto su tutti e su tutto. E questo va bene. Il mondo rappresentato nelle sue opere è un “prodotto” su un “prodotto”, sgranato, spixellato; è una rovina della vetrina sulla quale ci muoviamo.

An Degrida è nato sotto la NATO. Produce figure. Il suo modus operandi è l'Handmade Graphic-Art, che ancora non sa ben tadurre in italiano. In alcune opere rappresenta la merce producendo merce, in altre si apre sincero alla marginalità del reale, dove l’uomo resiste a se stesso.


mercoledì 10 aprile 2013

UN BLOG DI POESIA SU "L'UNITÀ"



Nasce "Fonti Coperte", blog di poesia (e altro) a firma di Davide Nota, ogni settimana sulla home page del sito de "L'Unità".

"Lettera a un giovane poeta in Italia" è il primo editoriale e può essere letto: qui

martedì 2 aprile 2013

BALLATA DEL FIGLIO DI JIMMY di CLAUDIO GILI + SWING THING - LIBRERIA PROSPERI/SPAZIO NOVADEA, ASCOLI PICENO

 
 
Titolo:  BALLATA DEL FIGLIO DI JIMMY
+ SWING THING

Autore: Claudio Gili
Relatore: Davide Nota
Musicisti: Swing Thing
Luogo: Libreria Prosperi-Spazio NovaDea
Largo Crivelli, 8 – 63100 Ascoli Piceno
Coordinamento e comunicazione: Spazio NovaDea
Inaugurazione: 6 aprile ore 18,00
Info: 0736.259888 – 329.1979667
 
libreriaprosperi@hotmail.it

Doppio evento sabato 6 aprile alle ore 18,00 presso lo Spazio NovaDea interno alla Libreria Prosperi di Ascoli Piceno. Sarà presentato il libro BALLATA DEL FIGLIO DI JIMMY, opera prima dello scrittore pesarese Claudio Gili, e a seguire concerto degli ascolani SWING THING, tra rimandi e rivisitazioni in chiave jazz della musica anni '40 e '50.
BALLATA DEL FIGLIO DI JIMMY è un romanzo di formazione, lirico, poetico, corale, vertiginoso nel suo continuo scivolamento di prospettive, nel suo ordito di voci narranti, di memorie e sguardi; l’autore ne parlerà assieme all’editore Davide Nota (Sigismundus Editrice).
 
Chi è Jimmy? Un convento di suore, due fratelli che non sanno di esserlo, una galleria di personaggi eccentrici e pittoreschi: vagabondi dal cuore d’oro, musicisti, affascinanti barwomen e gli arcani abitanti della notte metropolitana.
E una lettera misteriosa, che giunge dal passato e invita al viaggio, alla ricerca di un’origine che scivola sempre più in là, oltre il confine stabilito dell’orizzonte e del reale.
 
“Caro padre, madre cara. Vi scrivo da un luogo che non dirò. Anche il solo pronunciarlo gli donerebbe un'appartenenza. Qui invece, in un posto non più mio che non voglio imparare a conoscere, finalmente ho domato la voce.
Qui i paesi si somigliano tutti, le strade, la fretta statuaria che le percorre. Fuggito per guarire dal ragazzo che ero, comincio a pensare che la fine del viaggio non è altro che voi.” (Ballata del figlio di Jimmy, Sigismundus Editrice)
 
Durante la serata sarà inoltre possibile visitare la personale ASSALTO AL MORO. Il palio di Ascoli del fotografo Ignacio Maria Coccia, in esposizione fino al 27 aprile (lun-sab 9-13 e 16,30-20).
 
Claudio Gili è nato a Pesaro nel 1956 e lì si è fermato. Ha avuto, tra le altre, la fortuna di incontrare splendidi insegnanti di lettere. Delle sfortune preferisce tacere. Agli inizi degli anni '80 ha pubblicato poesie per Roberto Roversi e Gianni D'Elia. Ma questo risale alla notte dei tempi. Dopo anni vissuti a far altro, ha scritto il suo primo romanzo.
 
Swing Thing, formatisi nel 2010, sono Paolo Tassi (fonico e percussioni), Francesco Bagnara (chitarra)  e Marco De Angelis (chitarra). Si muovono con disinvoltura rivisitando e arrangiando in chiave jazz pezzi noti e meno noti della musica degli anni '40 e '50.

lunedì 18 marzo 2013

ASSALTO AL MORO - IGNACIO MARIA COCCIA - LIBRERIA PROSPERI/SPAZIO NOVADEA, ASCOLI PICENO




Titolo:  ASSALTO AL MORO. Il palio di Ascoli
Artista: Ignacio Maria Coccia
Luogo: Libreria Prosperi-Spazio NovaDea
Largo Crivelli, 8 – 63100 Ascoli Piceno
Coordinamento e comunicazione: Spazio NovaDea
Inaugurazione: 30 marzo ore 18,00
Periodo: 30 marzo – 27 aprile 2013
Info: 0736.259888 – 329.1979667
 libreriaprosperi@hotmail.it


Dopo il successo della personale dell'artista Davide Calvaresi, PLAY WITH A DISPLAY FOR A PLACE TO STAY, prosegue la stagione espositiva dello Spazio NovaDea interno alla Libreria Prosperi di Ascoli Piceno. Verrà inaugurata sabato 30 marzo alle ore 18,00 la mostra fotografica ASSALTO AL MORO. Il palio di Ascoli, personale di Ignacio Maria Coccia, che rimarrà aperta al pubblico fino al 27 aprile 2013 (Lun-Sab, 9-13 e 16,30-19,30). 
I lavori esposti sono tratti dagli scatti contenuti nell'omonimo libro realizzato nel 2012 dal fotografo insieme a Mauro Corinti, autore del video allegato, per Capponi Editore (www.capponieditore.it) di Ascoli Piceno, con testi di Guido Castelli e Bernardo Nardi. All’appuntamento sarà presente l'artista che illustrerà il suo lavoro e discorrerà con i presenti. Per l’occasione il libro potrà essere acquistato a un prezzo speciale. 

L’idea nasce dal desiderio di raccontare il fascino che si cela dietro la rievocazione storica della Quintana di Ascoli Piceno (Marche), un evento che ogni anno richiama migliaia di turisti e che ogni cittadino ascolano vive con passione e partecipazione. L’intento principale è quello di condurvi, accompagnati da immagini e video che esaltano la magia dell’evento, in quella parte di “vita quintanara” spesso sconosciuta ai più.

Ignacio Maria Coccia nato a Madrid nel 1974, frequenta nel 1998 l’istituto Europeo di Design di Roma. Nello stesso anno decide di dedicarsi al reportage sociale e tra il 1998 ed il 2000 realizza una serie di reportage nell’Est Europa, dove tornerà spesso.  Nel 2003 entra a far parte dell’agenzia Grazia Neri, storica agenzia Italiana, oggi non più esistente. Nel corso di questi ultimi anni è stato impegnato in alcuni importanti progetti all’estero  tra cui: Ucraina, Kosovo, Albania, Tunisia, Croazia ed Ungheria. IMC pubblica con continuità in importanti riviste Italiane: “IO Donna” del Corriere Della Sera, “IL” Magazine del Sole 24 ore, L’Espresso, Vanity Fair, Panorama, “SportWeek” della Gazzetta dello Sport.


lunedì 4 febbraio 2013

PLAY WITH A DISPLAY FOR A PLACE TO STAY - DAVIDE CALVARESI - SPAZIO NOVADEA/LIBRERIA PROSPERI, ASCOLI PICENO


Titolo:  PLAY WITH A DISPLAY FOR A PLACE TO STAY
Artista: Davide Calvaresi
A cura di: Ugo Mancini
Luogo: Libreria Prosperi-Spazio NovaDea
Largo Crivelli, 8 – 63100 Ascoli Piceno
Coordinamento e comunicazione: Spazio NovaDea
Inaugurazione: 16 febbraio ore 18.30
Periodo: 16 febbraio – 16 marzo 2013
Info: 0736.259888 – 329.1979667
libreriaprosperi@hotmail.it

Riparte la stagione espositiva dello Spazio NovaDea interno alla Libreria Prosperi di Ascoli Piceno, con quattro appuntamenti che, da febbraio a luglio 2013, si muoveranno tra fotografia, video, grafica, pittura e performance.
Il primo artista di questo nuovo ciclo sarà Davide Calvaresi, che presenterà il proprio lavoro nella personale PLAY WITH A DISPLAY FOR A PLACE TO STAY, a cura di Ugo Mancini, il 16 febbraio alle ore 18,30.
PLAY WITH A DISPLAY FOR A PLACE TO STAY documenta, attraverso una serie di immagini e una installazione video, il percorso di ricerca sulle possibilità di interazione tra corpo e immagine in movimento intrapreso dall'artista, per tentare di raccontare l'inadeguatezza e l'isolamento dell'uomo contemporaneo, che da dietro un monitor osserva e descrive il mondo.
Le opere esposte indagheranno media e linguaggi differenti, dall'elaborazione fotografica al video, e saranno introdotti da una performance dell’artista.

PLAY WITH A DISPLAY FOR  A PLACE TO STAY  è un gioco, un collage di immagini, un monito, un accadimento, un pensiero, una suggestione, una citazione, un insieme di segni, una proiezione.
PLAY WITH A DISPLAY FOR  A PLACE TO STAY non ha la  pretesa di dare delle risposte su cosa sia realtà o finzione, ma di insinuare dubbi sul mondo che abitiamo.
(dalla nota di Davide Calvaresi)

Davide Calvaresi (21 febbraio 1981) vince nel 2010 il Premio Nuove Sensibilità organizzato da Nuovo Teatro Nuovo e Teatro Pubblico Campano, insieme al Teatro Stabile delle Marche/Amat e alla Fondazione Teatro Piemonte Europa.
A febbraio 2011 è tra gli assistenti alla regia nell’allestimento del nuovo lavoro di Antonio Latella Don Giovanni, A cenar teco. Fa parte del collettivo artistico 7-8 chili con il quale cura la regia di Buio, Ossi di seppia e Replay, quest'ultimo finalista al Premio Equilibrio 2013 e presente all'8°Festival Internazionale di Danza Contemporanea della Biennale di Venezia. Sempre con 7-8 chili produce lo spettacolo Piano ricevendo per quest'ultimo la menzione speciale al Premio nazionale Scenario Infanzia. Gestisce laboratori creativi rivolti a bambini e a ragazzi diversamente abili.

martedì 29 gennaio 2013

Recensione di Massimo Seriacopi su "Rom (uomo)"

LORIS FERRI, Rom (uomo). Ascoli Piceno, Sigismundus Editrice, 2012, pp. 120


Se Pasolini aveva preso spunto dalle ceneri di Gramsci per cantare l’epopea del nostro tempo, della nostra società, qui, come se venisse fruttuosamente sviluppata la sua lezione, da altre ceneri, da un altro senso dell’epica si prende lo spunto per cantare una tragedia epocale.
  Connessa anche, ma non solo, a sottesi avvenimenti storici a cui si fa riferimento, è un’intera mentalità (e un “blocco mentale” che fa diventare valida un’unica prospettiva e visuale diventa elemento di discussione), che viene dolorosamente ma coraggiosamente messa in versi; la tragedia epocale a cui si accennava comporta anche il modo in cui viene percepita e giudicata l’epopea di un popolo o di un insieme di persone disperse e perseguitate, non accettate (forse non accettabili, per popolazioni stanziali e con un’identità nazionale storicamente “certificata”?).
  Sono tredici brevi poemetti o capitoli (in quartine di versi di varia misura, spesso fuori da schemi metrici tradizionali, ma non privi di musicalità e vigore) a scandire l’evocazione (una sorta di “romanzo poetico”), la chiamata in causa di ciò che ha marchiato a fuoco e continua a lasciare cicatrici nelle terre balcaniche e nelle persone che le attraversano e le vivono; ma la testimonianza stessa dell’autore, che di questi elementi fa sostanza per la propria espressione poetica, inevitabilmente trasformano queste cicatrici ed esperienze di vita nelle sue e nelle nostre ferite, in straniamenti rispetto alle percorrenze di vita consuete, solidificate e rassicuranti, costringendo con delicato fervore a una riflessione mai banale, anche in virtù di una raffinata scelta linguistica che spesso introduce selezionati termini appartenenti a vari popoli ed etnie che da millenni forse migrano da Est verso Ovest, o da un punto cardinale all’altro, come se davvero viaggiassero per la sola ragione del viaggio in sé, non costretti dall’ordinata esistenza alla quale il mondo occidentale è invece così abituata.
  La trasposizione di uno degli eroi più antichi dell’epica occidentale, Ulisse, sembra essere la base per presentare l’io narrante di Havro (come si avverte nella Legenda, diminutivo del nome Havrah, che significa “Il viaggiatore”); la sua attuale odissea ci trasporta attraverso Il sogno, che è il titolo del primo capitolo e un’altra tematica letteraria ed esistenziale ricorrente; si tratta di un canto dolente su una terra dilaniata da abbandonare, che sembra cercare di allontanarci come se fossimo feti da abortire, ma che è anche intessuta di nostalgica dolcezza, nella sua povertà straziata e straziante: Qua ora, tra fango, fuoco e il canto/ di una zingara, dimoriamo sulla terra/ a contemplare un lungo vespro che risplende/ sotto un cielo slavo, terso, fra le tenebre/ su cui l’ansia degli affanni si è placata/ per elevare una dimora nel petto, che sorprende…// Lungo questa calda notte infinita e vana,/ nel cielo oscuro e incerto degli zingari/ e clandestini, questo caldo nido ci avvolge/ come una madre di stracci… (p. 11).
  Ripercorrendo le varie parti di cui si sostanzia poi l’opera, tra le quali spiccano (ma non isolate) Sulle sponde della Drava, Rapsodie zigane, Il viale dei ciliegi, si può notare uno sviluppo della tematica esistenziale che riafferma la necessità di riflessione sulla condizione umana: E voi uomini, così fedeli a voi stessi,/ ma noi, viandanti leggeri e piangenti,/ differenti ogni giorno che passa,// che a bocca aperta, nel destino profondo/ come una dalia nera, sulla terra di Slavia,/ agli occhi follemente si apre, a noi, Havro!,/ che con innocenza sogniamo il mondo,// e il mondo in noi esiste solo sognando”… (p. 47);
e particolarmente intensa risulta la rammemorazione dell’unione tra protagonista e controparte femminile:
Ci stringemmo come rami spogli, lasciando/ le nostre piccole trame irrisorie e nude/ alla luna, le palpebre affondando/ vive, nelle viscere abissali dell’anima;// e tutte le paure e le ansie di un viaggio/ solo nostro nella vita, i timori, i dubbi,/ ogni desiderio che sbatte alle porte del cranio,/ solcando le sponde di un’eterna passione,// i demoni del passato, ogni sentimento,/ tutto lasciato sulla soglia delle labbra di Marika…/ Quello fu il momento in cui divenni uomo,/ quello fu il momento in cui divenni “rom”… (p. 60).
  Sessanta croci nel vento, settima parte del romance in versi di Ferri, una delle più intense (e dolenti) dell’intera opera, prende invece come punto di partenza una lettera dello zio Lùkas, una figura sostitutiva di quella, poco valida, paterna, punto di riferimento per il giovane errante e denunciatore di una situazione disumana: Alle nere porte delle case bussando/ umilmente come gli apostoli della rovina,/ umilmente
e disperati avvinti, crollando/ sotto i colpi di un potere funebre, l’epoca// la libertà ha macinato come un seme/ di grano, l’elemosina macina la povertà,/ il dubbio e l’eterna paura; si è spenta/ la mandola dei rom, si è spenta, ora geme// persa nell’oblio […] l’elemosina è amara!, manca l’acqua/ eppure sulle carovane si elevano i ripetitori,/ l’elemosina è ora così dolcemente/ amara, il sacro a braccetto col profano […] (p. 63).
  Sangue sul sangue versato, Terre di confine, Il lato oscuro e Zingaresca sono tra i capitoli più incisivi (anche se l’opera va considerata, e apprezzata, nella sua consequenziale interezza) a segnare altre tappe del viaggio nel mondo e nell’uomo, per poi confluire ne La caduta degli Angeli, tredicesima e ultima sezione in cui, come dice il verso (meglio, l’emistichio) d’apertura, Lenta cigola la memoria, riporta al viaggio in cui si è “addensata l’ombra” sulla tomba della mia giovinezza, viene ricordato.
  Davvero la visione della sofferenza invecchia; non si capisce se perché ci fa più saggi, o solo più coscienti dell’insensatezza della guerra tra uomini, tra etnie, tra persone tutte ugualmente dilaniate dalla fatica di esistere, e di vivere davvero, che tanto più vantaggio trarrebbero dall’allearsi con un moto di solidarietà contro paure e difficoltà, come ben ricordava Leopardi nel suo testamento poetico.
  Altrimenti queste sono le conseguenze: Sotto funebri venti l’Europa tombale/ nel baratro precipita annaspando,/ sino al fondo di questa terra siderale,/ su cui nuovi e fragili segni balenano// di un’antica umanità piegata e sepolta/ sotto le macerie […] (p. 109).
  Come può una persona non sentire, a confronto con un’umanità piegata e sepolta sotto le macerie, che l’Europa nella quale abita ha un aspetto tombale, che la sua giovinezza stesa è sepolta sotto una tomba? È il senso di responsabilità che il poeta si assume, che lo impegna a gridare la denuncia dell’orrore che vede, a dare senso al suo canto dolente, ma non per questo meno robusto, con radici antiche e solide come quercia che in uno stesso terreno affonda e trae nutrimento, perché uomo, e agli altri uomini, a tutti gli altri uomini, è collegato, di se e degli altri soggetto responsabile e bisognoso di una Maturità che della solidarietà non può non sostanziarsi.
  [Massimo Seriacopi]